Roma, 6 ott – Il generale iraniano Qasem Soleymani non rilascia un’intervista ufficiale da circa vent’anni, questa è stata rilasciata in esclusiva all’Ufficio dell’ayatollah Khamenei in considerazione dell’importanza dell’argomento ossia la Guerra dei trentatré giorni in Libano nel 2006. Recente è anche l’intervista rilasciata dal segretario di Hezbollah, Sayyid Nasrallah, al medesimo ufficio sempre in merito allo stesso tema.
La guerra dei 33 giorni, nota anche come seconda guerra israelo-libanese, è scoppiata dopo l’invasione americana dell’Afghanistan e dell’Iraq. Nonostante le sconfitte subite e il fallimento del piano per il nuovo Medioriente, all’improvviso gli Stati Uniti hanno cambiato le carte in tavola e hanno scelto il Libano come campo di esecuzione del loro piano. Alla domanda perché gli Usa abbiano fatto questa scelta, il generale Soleymani risponde: “Nella questione della Guerra dei trentatré giorni ci furono alcuni fattori celati che in realtà erano le vere cause della guerra e dei fattori palesi che erano solo delle scuse per arrivare a quegli scopi celati. Noi avevamo informazioni riguardo al fatto che Israele si stava preparando a un intervento militare, tuttavia queste informazioni non ci dicevano che il nemico aveva intenzione di attaccare a sorpresa. Solo a guerra iniziata, da due aspetti capimmo che avevano in mente una guerra lampo e a sorpresa e in questo modo distruggere Hezbollah. La guerra si è svolta in un contesto in cui avvennero due eventi importanti: uno riguardante tutta la regione e uno Israele. Per quanto riguarda la regione, gli Stati Uniti, dopo l’evento dell’11 settembre, avevano aumentato notevolmente la presenza delle loro forze militari nella nostra regione, dal punto di vista numerico simile alla seconda guerra mondiale, ma dal punto di vista della qualità, senza precedenti”.
Il generale Soleymani afferma al riguardo che il 60% delle forze americane erano presenti nella regione: 150mila soldati in Iraq, 30mila in Afghanistan e altri negli Stati alleati arrivando a un totale di circa 200mila. Egli sottolinea che la presenza americana nella regione era di sostegno ad Israele, che in questo modo era sicuro non ci sarebbe stata nessuna iniziativa da parte della Siria o dell’Iran nei suoi confronti, “pertanto – continua Soleymani – la radice principale della guerra stava nella fruizione da parte di Israele della presenza americana nella regione, della caduta di Saddam e della vittoria iniziale degli Stati Uniti in Afghanistan, oltre al timore che la presenza americana inculcava nella regione, tale che gli Usa avevano dichiarato terroristi molti dei gruppi politici contrari alle proprie politiche. Israele voleva approfittare di questa situazione e pensava che questo fosse il momento migliore per una guerra lampo” per liberarsi definitivamente di Hezbollah.
Il sostegno dei Paesi arabi a Israele
Il generale spiega che Israele aveva già subito una sconfitta nel 2000, tuttavia questa nuova guerra non era finalizzata all’occupazione del Libano ma alla sua distruzione e al cambiamento demografico, ossia fare in modo che le forze e i libanesi, in particolare gli sciiti, che vivevano nel sud del Libano e avevano uno stretto legame con Hezbollah, fossero costretti a lasciare il Paese, esattamente come fece coi palestinesi nel 1967, costringendoli ad abbandonare i campi profughi del Libano meridionale e a trasferirsi in altri campi nel resto dei paesi arabi, piano che ebbe successo e costrinse Yasser Arafat a trasferire la sua sede decisionale dal Libano al Marocco. Il generale Soleymani accenna anche al fatto che nella Guerra dei trentatré giorni Israele fu sostenuto dalla maggior parte dei Paesi arabi, in particolare i paesi del Golfo e l’Arabia Saudita, ed era la prima volta che gli stati arabi appoggiavano Israele in una guerra contro un’istituzione araba (ossia Hezbollah). Soleymani riassume così i fattori che hanno portato alla Guerra dei trentatré giorni: “In primo luogo, la presenza americana e la sua autorità sull’Iraq e il timore che aveva creato con la sua ampia presenza nella regione: In secondo luogo, la collaborazione degli Stati arabi e la loro decisione, tenuta nascosta, di sostegno ad Israele per sradicare Hezbollah e cambiare l’assetto demografico del Libano meridionale. In terzo luogo gli scopi di Israele stesso, che sfruttando questo contesto mirava a liberarsi di Hezbollah per sempre”.
Il fallimento della “guerra lampo”
Dopo aver accennato ai motivi celati della guerra, il generale illustra le motivazioni “ufficiali” e le scuse addotte da Israele per attaccare, affermando che Hezbollah si era preso l’impegno di liberare i prigionieri libanesi catturati da Israele, operazione che solo loro erano in grado di fare: “I libanesi, sia i prigionieri drusi, sia i musulmani, sia i cristiani, non avevano altra speranza e rifugio se non Hezbollah, anche oggi è così, in qualsiasi momento, l’appoggio principale del popolo libanese per difendersi da questo governo brutale viene da Hezbollah”. Soleymani continua spiegando che Hezbollah non aveva altra scelta se non compiere un’azione che avrebbe portato allo scambio di prigionieri, anche perché Israele non capisce la lingua della diplomazia, pertanto non vi era altra scelta. Nello scambio di prigionieri precedente Israele non aveva accettato di liberare i prigionieri più importanti, cioè i giovani, quindi Hezbollah fu costretto a mettere in atto una missione speciale, guidata dal martire ‘Imad Mughniyyah, missione che era stata pianificata da alcuni mesi e attraverso cui Hezbollah riuscì a catturare due soldati israeliani. Con questa scusa iniziò la guerra e furono attaccate pesantemente le postazioni di Hezbollah. Alla domanda “quale fu la prima reazione di Hezbollah?”, il generale risponde che bisogna prendere in considerazione due aspetti: il primo è che essendo l’ostilità tra Hezbollah e Israele inconciliabile, Hezbollah è sempre pronto a difendersi, qualsiasi sia il contesto, anche adesso la preparazione di Hezbollah al confronto militare non è del tipo che prima dichiara di essere al 30%, poi al 60%, la sua preparazione a un attacco e alla difesa è sempre al 100%, pertanto le perdite subite da Hezbollah nei primi giorni non furono significative. Il secondo aspetto è che, come è stato accennato, Israele mirava a una guerra lampo che finisse in pochi giorni con il fine di neutralizzare per sempre Hezbollah.
Una guerra pianificata
Al generale Soleymani viene chiesto dove si trovasse durante la guerra, egli risponde: “In realtà andai prima in Siria, tuttavia tutte le vie di comunicazione verso il Libano venivano attaccate, in particolare l’unico passaggio ufficiale al confine era continuamente bombardato. Contattai gli amici attraverso una linea sicura, ‘Imad venne a prendermi e io andai in Libano dalla Siria attraverso una via secondaria, parte a piedi e parte in auto. Al tempo la guerra era concentrata sugli edifici dove si trovavano gli uffici di Hezbollah, la maggior parte delle regioni del Sud e alcuni luoghi al centro e nel nord del Libano. Dopo circa una settimana, da Teheran insistettero che io tornassi a spiegare quello che stava succedendo, rientrai attraverso una via secondaria. In quei giorni la Guida Suprema si trovava a Mashhad, andai da lui”. Quindi il generale illustra che il suo resoconto della guerra non era incoraggiante e in quei giorni non c’era speranza che Hezbollah potesse vincere: i bersagli venivano scelti con grande precisione grazie ai mezzi tecnologici a disposizione degli israeliani. Tuttavia la Guida Suprema, dopo aver ascoltato il resoconto e confermando che quella era una guerra difficile, affermò che Hezbollah l’avrebbe vinta e inoltre il generale riporta che egli disse: “Io penso che Israele avesse già pianificato questa guerra e la volesse attuare a sorpresa e in questo modo distruggere Hezbollah”. Il generale spiega che in quel momento né lui né Sayyid Nasrallah né Mughniyyah avevano capito quale fosse il piano di Israele, mentre l’ayatollah Khamenei lo aveva intuito, e questo era d’aiuto ad Hezbollah, poiché molti accusavano il movimento di aver messo in pericolo il Libano per i prigionieri, quando invece Israele aveva già pianificato tutto da tempo e aspettava solo un pretesto per scatenare la guerra. Soleymani racconta che la sera stessa tornò a Teheran e da lì in Siria, dove di nuovo lo venne a prendere ‘Imad che lo portò da Sayyid Nasrallah, il quale fu rincuorato dal messaggio e dalle parole dell’ayatollah Khamenei, inoltre la previsione della vittoria fu diffusa fra i tutti i miliziani di Hezbollah, e da quel momento in poi Sayyid Nasrallah avrebbe enfatizzato sulle vere intenzioni di Israele e sul fatto che la guerra era stata pianificata da tempo. Il generale Soleymani aveva inoltre comunicato a Sayyid Nasrallah che l’ayatollah Khamenei aveva consigliato di recitare una particolare invocazione per chiedere il sostegno divino e questa invocazione da quel momento veniva spesso trasmessa dalla televisione al-Manar e i cui contenuti erano talmente elevati che anche i cristiani cominciarono a recitare l’invocazione.
Il generale Soleymani spiega che lui rimase in Libano per tutta la durata della Guerra dei trentatré giorni e tornò in Iran solo a guerra finita, illustrando un resoconto della guerra alle massime cariche del paese, sottolineando che tutti erano d’accordo nel sostenere Hezbollah, non vi erano divergenze al riguardo, come non ve ne sono ora, anche se possono esserci opinioni diverse riguardo a come debba avvenire questo sostegno.
La tattica di Hezbollah
Nel momento in cui al generale Soleymani vengono chiesti dettagli riguardo alle azioni militari compiute da parte di Hezbollah durante la Guerra dei trentatré giorni, egli ribatte: “Ci sono ancora questioni riguardo alla Guerra dei trentatré giorni che non possono essere rivelate. Sono passati tredici anni da questa guerra ma i segreti della guerra e ciò che fece Hezbollah devono ancora rimanere segreti per molti altri anni, tuttavia spiegherò alcuni degli aspetti che possono essere rivelati e che sono utili”. Il generale spiega quindi che Hezbollah aveva una stanza da cui guidava le operazioni militari presso Dahieh, a sud di Beirut, che era circondata da alti edifici e ogni notte due o tre di questi edifici venivano colpiti con precisione e rasi al suolo, per questo temevano per la vita di Sayyid Nasrallah e volevano allontanarlo da quel luogo pericoloso. Racconta Soleymani: “Io e ‘Imad ci consultammo, Sayyid Nasrallah era restio nell’accettare di abbandonare la stanza operativa, anche se uscire da quella stanza non significava lasciare Dahieh, ma semplicemente di trasferirsi da un edificio, che temevano il nemico potesse prendere di mira a causa dei continui movimenti all’interno di esso, a un altro luogo. Gli aerei MK, ossia senza pilota, israeliani volavano continuamente sui cieli di Dahieh in gruppi di tre e controllavano tutti gli spostamenti, a loro non sfuggiva nemmeno una motocicletta. A mezzanotte non volava una mosca a Dahieh e sembrava che nel cuore del centro di Hezbollah non abitasse nessuno. Ci mettemmo d’accordo di trasferirci da dove eravamo a un altro edificio e ci spostammo. La distanza tra i due edifici non era molta. Appena trasferitici nell’altro edificio, ci fu un altro bombardamento che colpì l’edificio di fianco. Aspettammo nell’edificio in cui ci trovavamo poiché lì c’era una linea sicura, perché la comunicazione con Sayyid Nasrallah e soprattutto con ‘Imad non doveva essere interrotta. Ci fu un altro bombardamento che colpì un ponte vicino a questo edificio, dopo questi due bombardamenti si poteva intuire che ce ne sarebbe stato anche un terzo, e che avrebbe potuto colpire l’edificio in cui ci trovavamo, ed eravamo solo noi tre: io, Sayyid Nasrallah e ‘Imad Mughniyyah. Decidemmo allora di lasciare anche quell’edificio e raggiungerne un altro. Siamo usciti, noi tre, non avevamo un mezzo, non c’era luce a Dahieh e tutto era silenzioso, si sentiva solo il rumore degli aerei israeliani”. Soleymani continua raccontando che ‘Imad disse loro di aspettarlo e poi tornò con un’auto. ‘Imad, spiega Soleymani, era unico nella sua precisione e capacità di azione, “prima che l’auto ci raggiungesse, l’aereo MK si era concentrato su di noi e quando arrivò il mezzo, sull’auto. L’MK manda direttamente le informazioni che la sua telecamera raccoglie a Tel Aviv e loro vedevano le immagini nella sala operativa. C’è voluto del tempo perché noi potessimo passare da un sotterraneo a un altro e poi da quest’auto a un’altra cosa che ora non posso dire, e in questo modo ingannare il nemico, erano più o meno le due e mezza di notte quando ci trasferimmo nella nuova sala operativa. L’aspetto interessante è che normalmente nelle guerre vi è molta frenesia. Io sono quarant’anni che mi occupo di situazioni militari e di sicurezza e questo lo capisco. Nelle guerre vi è molta frenesia affinché ognuno possa manifestare già nei primi momenti ciò che può. In questa guerra Hezbollah, in ogni momento con uno strumento o un’iniziativa nuova, prendeva di sorpresa il nemico, ossia non svelava tutti i propri strumenti in una sola volta. Per questo Sayyid Nasrallah pronunciava frasi che tenevano sempre il nemico nel timore”.
Ogni punto come argine
Israele comprese così che Hezbollah sarebbe stato in grado di allargare la guerra fino ad arrivare a Tel Aviv, quindi tra un’azione militare e l’altra, i primi mantenevano alta anche la pressione psicologica sui secondi, e inoltre tutte le volte che questi pensavano che le risorse missilistiche di Hezbollah stessero per finire, attuava un nuovo attacco per mettere in dubbio le certezze israeliane. Alla domanda come questa preparazione elevata fosse stata ottenuta da Hezbollah, Soleymani risponde che dalla guerra del 2000, quando Israele era stato sconfitto, i miliziani di Hezbollah erano stati addestrati in modo preciso e intensivo sotto la direzione di ‘Imad Mughniyyah. Il generale spiega quindi in dettaglio una delle tattiche di Hezbollah nella Guerra dei trentatré giorni: “Al contrario delle altre guerre in cui è presente solo un argine frontale, in questa guerra non vi era nessun argine frontale, ogni punto era un argine, dalla zona di contatto del confine tra la Palestina occupata e il Libano, fino al fiume Leonte, ogni punto, fosse una collina, un villaggio o una casa era un argine e fronte: non un fronte normale che è comune nelle guerre, di cui anche noi avevamo usufruito nella nostra, ma un argine con una tattica speciale. Questa tattica di Hezbollah era simile a una zona minata di intelligence dove nessun punto è vuoto e sicuro. Pertanto se voi osservate i movimenti del nemico, noterete che non gli era stato possibile entrare in quei villaggi che si trovavano al confine, e così pure nelle città, alla fine il nemico decise di avanzare attraverso Wadi al-Hajir verso il Leonte, e fu quella la mossa che portò il nemico alla sconfitta”. Il generale Soleymani accenna anche al fatto che uno degli aspetti tattici importanti della Guerra dei trentatré giorni fu che talvolta un solo attacco di Hezbollah, ben ponderato ed eseguito nel momento giusto, influenzava tutto l’andamento della guerra e metteva fuori gioco un intero apparato militare di Israele, ed è quello che successe alla marina militare israeliana: “Quel giorno per la prima si era deciso di provare i missili marini, prima di quel momento erano stati tenuti nascosti e non era stata eseguita nessuna prova. Era una missione difficile: era necessario trasportare il missile dal rifugio in cui era tenuto nascosto al punto in cui sarebbe stato lanciato e che era visibile, mentre tre-quattro fregate israeliane si trovavano di fronte. Era stato deciso che il lancio sarebbe avvenuto mentre Sayyid Nasrallah faceva il suo discorso, perché era stata diffusa la voce che era stato ferito, per cui i libanesi erano particolarmente preoccupati. Sayyid Nasrallah e ‘Imad si accordarono quindi che Nasrallah avrebbe fatto un discorso. In quella settimana il nemico si trovava in una situazione favorevole e noi non avevamo ancora intrapreso nessuna iniziativa importante se non lanciare missili di rappresaglia. Dovevamo quindi attuare un’iniziativa importante: più volte si tentò di lanciare il missile ma il lancio fallì. Sayyid Nasrallah voleva citare questo attacco nel suo discorso come un’importante azione a sorpresa, il suo discorso sarebbe stato registrato e poi diffuso. C’era una stanza accanto a quella in cui Sayyid Nasrallah parlava, dove io, ‘Imad e altri fratelli eravamo seduti. Il discorso di Sayyid Nasrallah era quasi finito, ma il missile non era ancora stato lanciato, cosa che avvenne in procinto di pronunciare la frase di chiusura del discorso. La velocità del missile superava la velocità del suono e colpì la fregata immediatamente, per cui Sayyid Nasrallah alla fine del suo discorso aggiunse, come se stesse vedendo la scena attraverso qualche capacità occulta: adesso vedete davanti a voi che la fregata israeliana sta bruciando”. Soleymani aggiunge: “Questo evento fu la fine della forza navale israeliana, che non intervenne più nella guerra, con un solo missile fu messa fuori gioco”.
La vittoria di Hezbollah
Il generale accenna al fatto che a partire dal ventesimo e fino al ventottesimo giorno della guerra si ebbero i giorni più difficili, a quel punto ‘Imad Mughniyyah prese un’iniziativa che cambiò l’andamento della guerra: “L’iniziativa fu la lettera dei miliziani che combattevano al fronte e si trovavano sotto il fuoco nemico rivolta a Sayyid Nasrallah. Era una lettera speciale, quando veniva letta, lo stesso ‘Imad, a cui apparteneva l’idea, piangeva ad alta voce e mai ho visto qualcuno che non piangesse sentendo la lettera. Più importane ancora fu la risposta di Sayyid Nasrallah: se volessimo fare un confronto, fu simile alle poesie che i compagni dell’imam Husayn recitarono a Karbala in difesa dell’imam davanti al nemico. La risposta di Sayyid Nasrallah ai miliziani nel suo elogiarne la resistenza era simile al discorso dell’imam Husayn la notte prima di Ashura, queste due lettere ebbero una profonda influenza”.
Alla domanda su come terminò la guerra, il generale Soleymani risponde: “A quel tempo Hamad Ali Khalifah era il primo ministro del Qatar, si trovava presso le Nazioni Unite e faceva da intermediario, andava e veniva dal Libano, e in seguito narrò: ‘In quel periodo gli americani non permettevano assolutamente che venisse trattata la questione del mettere fine alla guerra. Io avevo perso le speranze, tornai a casa per riposare, quando l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite mi convocò. In fretta e preoccupato mi chiese dov’ero, risposi chiedendo se era successo qualcosa di nuovo, mi disse di andare insieme alle Nazioni Unite. Arrivato notai quell’immondo di John Bolton che camminava mentre era molto preoccupato e stressato. Entrambi mi dissero che ora era il momento di mettere fine alla guerra, chiesi il perché, mi dissero che se non fosse stata messa fine alla guerra, l’esercito israeliano sarebbe stato distrutto e annientato’, Israele accettò tutte le condizioni imposte da Hezbollah e il cessate il fuoco, questa fu una grande vittoria per Hezbollah”.
Hanieh Tarkian
3 comments
La frase che grandissima sciocchezza, se non finiva la guerra l’esercito israeliano veniva annientato. Se non interviva l’onu, per solo limitare le vittime civili usate dagli hazabollah, questi terroristi sarebbero stati annientati.
Che sciocchezza incredibile. Israele fu fermata dall’Onu per via delle numerose vittime civili provocate dall’uso degli stessi come scudi umani dai terroristi di hezabollah.
Viva hezbollah, bastione contro il cancro sionista. A chi non l’ha capito gli auguro di ritrovarsi fianco a fianco a quelli dell’isis.