Roma, 31 mar — Uno spettro si aggira per l’Europa; quello dell’ecocidio. Neologismo coniato da una parte degli intellettuali più progressisti, di quelli che si lavano i denti con post-strutturalismo e decostruzionismo, quelli che flirtano amorevolmente con gender, distruzione della identità, antropocene, ecologismo radicale.
Non potevano mancare, in questa deriva sempre più grottesca ma pericolosa ormai imboccata da un occidente infiacchito, anche giuristi e legislatori che si sono evidentemente divertiti a coniare l’ennesimo concetto a introduzione dell’ennesimo reato. Genocidio ambientale, volendo tradurre sommariamente dal sempre più arzigogolato e confuso dizionario del politicamente corretto. Non paghi dei già esistenti reati ambientali, dunque, questi intellettuali si sono spinti alla equiparazione teorica tra l’ecocidio e lo sterminio di intere popolazioni.
Ci mancava anche l’ecocidio
Come sempre all’avanguardia quando si tratta di queste tesi, l’Europarlamento con una propria delibera di martedì scorso ha ben pensato di sancire la necessità dei 27 Stati dell’Unione di riconoscere l’ecocidio nei loro codici penali. Entusiasti i promotori: «Questo è un evento storico!», ha esultato agitando il pugnetto chiuso d’ordinanza la promotrice della direttiva, l’eurodeputata francese Marie Toussaint, appartenente al Gruppo dei Verdi. «I casi di contenzioso che abbiamo intrapreso, per il clima o per i diritti della natura, hanno contribuito a ravvivare l’urgenza di affrontare gli attacchi agli esseri viventi attraverso la legge», ha concluso, rivendicando il senso di questa iniziativa.
Gli eco talebani volevano di più
Si tratta di una proposta che ha origini lontane e che oggi, probabilmente sospinta dal lassismo del clima culturale abbondantemente zavorrato dal dizionario gretino e delle varie Ong ambientaliste, è arrivata alla approvazione. In realtà già nel 2021, la Commissione se ne era uscita con un progetto dalle coordinate simili, ma questo primo passo non era stato ritenuto sufficiente dai gruppi di portatori di interessi ecologisti, tra cui l’Ufficio europeo dell’ambiente (Eeb). Tanto che Frederik Hafen, uno degli esponenti dell’Eeb, ha liquidato la proposta della Commissione dichiarando che essa «ha introdotto il reato di ecocidio solo a parole, senza occuparsi della parte operativa».
Invece ora, con l’approvazione dell’atto parlamentare, il quadro sarebbe nettamente migliore, tanto che lo stesso Hafen si dice entusiasta. «Si tratta di una pietra miliare», ha dichiarato l’uomo, proseguendo poi «se verrà incluso nella legislazione finale, sarebbe un passo in avanti epocale per il riconoscimento dell’ecocidio in Europa». La delibera ora dovrà andare in discussione con la Commissione e poi con i 27 Stati membri, una strada lunga ma un primo passo, è la speranza degli ecologisti radicali, è stato abbondantemente segnato.
Una norma giuridicamente pericolosa
Scorrendo il testo della direttiva si capisce bene cosa si intenda per ecocidio, obbligando gli Stati membri a intervenire legislativamente «affinché qualsiasi comportamento che causi danni gravi e diffusi o di lunga durata o irreversibili [all’ambiente] sia considerato un reato di particolare gravità e sanzionato come tale secondo gli ordinamenti giuridici degli Stati membri». Una norma giuridicamente pericolosa, in primis perché oggetto di una deriva del tutto ideologizzata, in secondo luogo per la sua pericolosa evanescenza. C’era davvero bisogno di un disegno confuso e in certa misura anche «doppione» rispetto reati ambientali già esistenti? Sembra in realtà trattarsi di una solita norma slogan prodotta in seno all’altrettanto solito progressismo, slegato da qualunque contatto con il mondo reale e con i problemi sociali, che pure non mancherebbero.
Cristina Gauri