Tel Aviv, 27 lug – “Nel nostro esercito da anni ci sono soldati transgender e noi ne andiamo fieri”. Ha risposto così l’esercito israeliano a Donald Trump, che ha deciso di mettere al bando i trans dalle forze armate americane, e a quanti in Israele chiedono che venga fatto lo stesso.
Non solo: l’IDF, l’esercito dello Stato ebraico, oltre a vantarsi dei propri soldati arcobaleno e della loro integrazione nei vari battaglioni, precisa che ha un programma per finanziare la riassegnazione di genere, cioè le operazioni per cambiare sesso. Questo perché essendo inammissibile il servizio civile in Israele, e l’obbligatorietà della leva estesa a uomini e donne, l’esercito è tenuto a fornire servizi medici a tutti i soldati, compreso il finanziamento della chirurgia sessuale qualora essa sia opportuna.
L’integrazione dei transgender nei ranghi di Tsahal è costantemente sotto l’attenta supervisione di un funzionario con il grado di tenente colonnello, affinché le persone della comunità LGBT non abbiano problemi nei loro battaglioni. Un ufficio apposito per queste problematiche è stato creato nel 2015. Come riporta il quotidiano israeliano Haaretz citando il capo delle questioni di genere nell’Idf, l’esercito israeliano “è considerato uno degli eserciti più avanzati al mondo per quanto riguarda l’integrazione della comunità LGBT e questo non è più un problema nei vari settori delle forze armate”.
Oltre a essere la capitale del turismo omosessuale, Israele, dunque è anche la capitale dei militari transgender. Ma questo suscita non poche critiche all’interno della società, soprattutto quella conservatrice, perché fa scandalo il fatto che molti dei militari, anche alti in grado, che hanno subito interventi di cambio di sesso rilascino interviste sulla questione dei trans nell’esercito. Attualmente sono una 60ina i soldati trangender nell’esercito israeliano, a fronte delle diverse migliaia in quello americano, e il primo militare arcobaleno israeliano effettua tour negli Stati Uniti per perorare la causa e raccontare la sua storia, sponsorizzato dalle Forze armate di Israele e dal Ministero degli Affari esteri dello stato ebraico. Ma negli ambienti conservatori chiedono che anche Tel Aviv segua l’esempio di Washington.