Berlino, 18 nov – Sono passati quasi due mesi dalle elezioni nazionali e la Germania non ha ancora un governo. Il problema è che l’unica coalizione possibile è la cosiddetta “Giamaica”, nome che deriva dal colore dei partiti che la comporrebbero: Unione (nero), Liberali (giallo) e Verdi. I socialdemocratici (Spd) infatti, dopo la storica batosta elettorale, non hanno la benché minima intenzione di dar seguito alla “grande coalizione”, mentre i sovranisti dell’Afd (terzo partito tedesco) sono da tutti ritenuti “impresentabili”.
Il forte calo dell’Unione (Cdu/Csu), che ha perso rispetto al 2013 l’8% dei voti, ha quindi costretto la Merkel a tentare l’unica strada percorribile, cioè un governo di larghe intese composto da ben quattro partiti. Partiti che, però, hanno ideologie e programmi difficilmente conciliabili. Vediamoli insieme, partendo dalle “sorelle” dell’Unione.
Csu: i conservatori bavaresi, a causa delle politiche lassiste su immigrazione e sicurezza dell’ultimo governo Merkel, hanno accusato una forte emorragia di consensi in favore dell’Afd e sono quindi poco disposti a fare concessioni in tal senso.
Cdu: anche nel partito della cancelliera sta crescendo il malcontento a causa degli insuccessi elettorali, sicché la base giovanile spinge per un cambio di leadership (cioè addio alla Merkel) e per un ricambio generazionale.
Fdp: dopo l’ottimo risultato conseguito alle elezioni, che li ha fatti tornare in parlamento, i Liberali sembrano attualmente i più malleabili e concilianti nelle trattative, ma pretendono il ministero dell’economia per poter portare avanti le loro politiche ultraliberiste. A fronte dell’ultima esperienza di governo (2009-2013), che li ha visti “azionisti di minoranza” nel governo con la Merkel e li ha condannati a una catastrofe elettorale senza precedenti, in proposito non faranno sconti.
Verdi: il partito dei ricchi radical chic è la vera spina nel fianco degli alleati nelle trattative. Sui temi dell’economia e dell’ecologia (che per loro sono strettamente legati) ci sono numerosi punti di attrito sia con l’Unione sia, soprattutto, con i Liberali.
Ma il pomo della discordia è rappresentato in particolar modo dalle politiche sull’immigrazione. I Verdi sono da sempre per le “porte aperte” praticamente a tutti, i Liberali sono possibilisti, mentre l’Unione vuole assolutamente porre un tetto agli arrivi per recuperare i suoi elettori che hanno premiato l’Afd. Cdu e Csu parlano di accogliere massimo 200 mila profughi all’anno, mentre l’Fdp è disposta a trattare su una forchetta che si aggira sui 150-250 mila. I Verdi, invece, fanno orecchie da mercante. Anche sui ricongiungimenti familiari non c’è accordo: i Verdi vorrebbero estenderlo anche ai profughi che godono unicamente della cosiddetta “protezione sussidiaria”, laddove Unione e Fdp non intendono fare concessioni.
Insomma, i negoziati si fanno sempre più lunghi, complicati e snervanti, com’era del resto prevedibile. Il rischio di un fallimento delle trattative (e un conseguente ritorno alle urne), benché ancora non probabile, è però tutt’altro che una prospettiva fantapolitica. Di qui, infatti, partono i recenti appelli del presidente della repubblica Steinmeier e della stessa Merkel alle “forze responsabili” del Paese. Si tornasse a votare, è ovvio, saranno in molti a rimetterci. Di sicuro, la proposta dell’Unione sull’immigrazione, formulata per far argine al successo dell’Afd, è ridicola: 200 mila profughi all’anno restano pur sempre un numero enorme. Con queste credenziali, difficilmente riusciranno a convincere quell’elettorato che li ha piantati in asso. Per ora, quindi, i sovranisti dell’Afd possono dormire sonni tranquilli.
Valerio Benedetti
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