Kerch, 2 feb – In questi giorni ricorre l’ottantesimo anniversario dalla deportazione comunista degli italiani di Crimea nei gulag siberiani e del Kazakistan. La triste storia di questi nostri connazionali è raccontata nel libro L’olocausto sconosciuto, lo sterminio degli italiani di Crimea, scritto da Giulia Giacchetti Boico e dal professor Giulio Vignoli, pubblicato da edizioni Settimo Sigillo nel 2008.
In Crimea fin dal periodo delle Repubbliche Marinare, fu soprattutto a fine dell’Ottocento che, su invito della Zarina Caterina II di Russia, la migrazione italiana approdò numerosa in quelle zone. La maggior parte degli italiani provenivano da Puglia, Liguria, Veneto e Trentino. Diversi furono anche i giuliani e gli istriani che scamparono alla morte rossa nelle terre irridente per trovarla però direttamente nel cuore geopolitico del comunismo. Nel 1920 infatti, con la Rivoluzione di Ottobre condotta da Lenin, alla comunità italiana – fino a quel momento benvoluta e che rappresentava il 2% della popolazione di Crimea – vennero espropriate le terre e fu costretta a vivere nei Kolchoz, in cui i russi imposero una russificazione forzata, dalla lingua ai cognomi.
Italiani di Crimea, breve storia di un genocidio
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale poi, le purghe staliniane all’indirizzo dei gruppi etnici furono sempre più dure. Nel gennaio 1942 le milizie bolsceviche iniziarono a deportare nei gulag di Siberia e Kazakistan tutte le comunità etniche provenienti da nazioni ostili all’Urss. Tra queste vi erano anche i tremila italiani che, prelevati dai lager a fine gennaio, furono caricati su treni, navi e piroscafi per lunghissimi viaggi nel cuore dell’inverno russo. Stremati e assiderati, in molti non arrivano mai a destinazione e i loro corpi furono abbandonati tra la gelida steppa o gettati nel mare ghiacciato.
Tra la fine del terribile “sistema gulag” nel gennaio del 1960 e la dissoluzione del comunismo sovietico nel dicembre del 1991, insieme ad altri milioni di deportati i sopravvissuti italiani fecero lentamente ritorno in Crimea. Tra essi vi era chi, nato fisicamente nei gulag e non sentendosi legato alle terre dell’Est, provò invano a recarsi in Italia insieme a centinaia di superstiti, in una sorta di ritorno all’Antica Madre, per citare Virgilio. Ma come da prassi bolscevica, l’Urss cancellò loro l’identità sostituendola con numeri. Nessun passaporto o carta che attestasse l’italianità di questi nostri connazionali, né in Russia né tantomeno in Italia, dove il Partito Comunista prima e parte della sinistra poi, negli anni si diedero un gran da fare per cancellare le tracce di chi morì o rimase imprigionato nel “paradiso socialista”.
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Il riconoscimento e la memoria
Come fu per le foibe e i nostri connazionali nell’Istria e nella Dalmazia, i governi italiani non riconobbero né le deportazioni degli italiani né l’italianità stessa di chi morì o sofferse nei gulag sovietici. Fu solo nel 2015 che, grazie a un accordo tra il presidente russo Vladimir Putin e l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi, i nostri connazionali di Crimea ricevettero finalmente la cittadinanza italiana e lo status di minoranza e deportati.
Divenuta ufficialmente Russia dopo il referendum dell’11 marzo 2014, in cui la popolazione di Crimea fu chiamata alle urne per decidere se rimanere regione Ucraina o passare alla Federazione Russa, in questo 2022, purtroppo, la pandemia ha condizionato negativamente anche le annuali manifestazioni per questa ricorrenza così importante per la comunità italiana di Kerch. Ogni anno, infatti, la comunità italiana della penisola tra il Mar Nero e il Mar d’Azov si riuniva al molo di Kerch per celebrare degnamente il ricordo di quanti non sono tornati dalle deportazioni staliniane e delle tante sofferenze che hanno patito i nostri avi in quelle terre così lontane dalla patria.
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Lo scorso venerdì 28 gennaio si è svolto però a Kerch un importante evento online organizzato dall’associazione Cerkio (Comunità degli Emigrati in Regione di Crimea – Italiani di Origine), con la sua presidente Giulia Giacchetti Boico, discendente da una famiglia di italiani deportati dal regime sovietico, in collaborazione con la Casa dell’Amicizia tra i popoli della Crimea. Alla conferenza online, che ha ripercorso le tragiche tappe della deportazione italiana di Crimea, hanno partecipato i rappresentanti della Casa dell’Amicizia, il professor Aldo Ferrari dell’Università di Ca’ Foscari di Venezia, i deportati e i discendenti delle famiglie italiane che oggi abitano a Kerch, Sinferopoli, Erevan, Saratov, San Pietroburgo e Karaganda.
Le associazioni italiani che non dimenticano
Da anni in Crimea sono operative associazioni italiane che si occupano della solidarietà per la nostra comunità in Crimea. Dalle Onlus L’Uomo Libero e Sol.Id, all’associazione Italiani nel mondo. Da tempo esse sviluppano progetti solidali per il mantenimento dell’identità e della cultura italiana, sostentamento economico per le famiglie meno abbienti, invio di prodotti alimentari italiani, computer, libri e audiolibri per lo studio della lingua di Dante, e, nel 2011, una statua raffigurante la Madonna dei Miracoli donata all’unica chiesa cattolica romana di Crimea e trecento bandiere tricolori – a tale numero ammontano oggi i sopravvissuti alle deportazioni – portate a Kerch dall’associazione L’uomo Libero Onlus.
Ad oggi le suddette associazioni sembra siano ancora le uniche ad occuparsi, culturalmente e fisicamente, dei nostri connazionali esiliati e della memoria delle atrocità subite. Troppo occupati a riempire i tg di fobie pandemiche e gossip politici, non un servizio televisivo ha anche solo accennato a questa triste pagina della storia d’Italia. Non un ricordo espresso alla Camera o al Senato. Non una parola da un presidente della Repubblica appena rieletto. Non un fiore su una targa, una stele o un monumento mai realizzato. Nel 2022 vi è purtroppo ancora una memoria divisa e divisiva, che evita di riscoprire migliaia di scheletri dall’armadio di una classe politica complice e colpevole. Ancora oggi. Sulla pelle e le ossa degli italiani.
Andrea Bonazza
2 comments
Grazie.
Un pezzo di storia, della nostra storia, che non conoscevo. Non
tutto bene ,pero ci dimentichiamo degli italiani trattenuti in albania per 40 anni senza nessun diritto