Londra, 23 ott – Ho provato a prendere i soldi dagli sceicchi dell’Arabia Saudita: vi racconto come è andata. Potrebbero titolare così, con il loro stile inconfondibile, i fighetti progressisti e radical chic di Vice. Sì perché – come emerge da un’inchiesta del Guardian – è proprio così che andata. Secondo la ricostruzione del quotidiano britannico, infatti, Vice rientra nel novero di fondazioni e media finanziati dalla petrolmonarchia saudita, dove il rispetto delle donne e dei diritti umani – com’è noto – è praticamente pari a zero. Tra gli altri media finanziati dall’Arabia Saudita figurano anche l’Indipendent e il gruppo Freud (diretto da Matthew Freud, pronipote del famoso psicanalista Sigmund), mentre tra le varie fondazioni a beneficiare dei petroldollari sauditi c’è anche la Fondazione Tony Blair.
Secondo le fonti del Guardian, Vice dispone di un team che lavora specificamente per promuovere l’immagine dell’Arabia Saudita nei Paesi anglofoni. Questa operazione viene svolta in collaborazione con il gruppo editoriale saudita SRMG, che ha stretti legami con il ministero dell’Informazione della petrolmonarchia araba. Più in particolare, i contatti con Vice sono stati intessuti da Bin Salman, che nel giugno del 2017 è diventato ufficialmente principe ereditario. All’inizio di quest’anno, durante il suo tour negli Stati Uniti, Bin Salman ha infatti incontrato il cofondatore e presidente esecutivo di Vice Shane Smith. Di qui è nata la collaborazione con tanto di finanziamenti alla testata.
L’accordo ha portato ad esempio alla produzione di un video per promuovere il turismo verso l’Arabia Saudita (video che ha ottenuto quasi 5 milioni di visualizzazioni sul canale Youtube di Vice). In un fotogramma è detto esplicitamente che il video è stato «prodotto in collaborazione» con SRMG. L’ex presidente del gruppo editoriale saudita è diventato di recente ministro della Cultura della petrolmonarchia, il dicastero che è spesso percepito come un veicolo per il soft power saudita nel Regno Unito. E così i fighetti di Vice, sempre pronti a pontificare su diritti umani, valori democratici e lotta contro le molestie sessuali (ma con qualche «piccola» pecca), si ritrovano complici di una delle monarchie più oscurantiste del Medio Oriente. Perché un finanziamento di sonanti petroldollari, alla fin fine, val bene una messa a Riad.
Elena Sempione