Ankara, 20 dic – E’ stato Mert Altintas, classe 1994, professione poliziotto, diplomato nel 2014 all’accademia Rustu Unsal di Smirne. Nella capitale turca si inaugura una mostra fotografica dal titolo “La Russia attraverso gli occhi dei turchi”, titolo emblematico che cade a pennello sul tentativo di riavvicinamento delle due potenze che in medio-oriente stanno giocando da anni una partita a scacchi. Da un lato la Russia di Putin che tenta di affermare il suo ruolo nel conflitto siriano in supporto alle truppe governative che combattono i miliziani dell’Isis (facendo così da argine agli Usa che gradirebbero la destituzione del presidente Assad), dall’altro la Turchia di Erdogan, la potenza bicefala della politica internazionale, che se a occidente ricatta l’Ue “minacciando” un’invasione di profughi (e di terroristi che fuggono dalla Siria), ad oriente è costretta a gestire le pretese indipendentiste dei curdi i quali, nel frattempo, combattono al confine siriano contro alcune formazioni jihadiste legate sempre ad Ankara. Il rebus della Turchia è, quindi, combattere i terroristi jihadisti o i curdi? O magari entrambi? O magari servirsi e supportare alcune fazioni di miliziani anti-Assad per combattere i curdi? E in che modo può giustificare la sua politica agli Usa (con i quali e legata dall’adesione alla NATO) e alla Russia? C’è da dire che, dopo il tentato golpe in Turchia, c’è stato un disgelo dei rapporti tra Putin ed Erdogan per cui, la mostra fotografica di cui sopra, rientra pacificamente in questa prassi diplomatica. Di fatti, il discorso introduttivo di presentazione della mostra è affidato all’ambasciatore di Mosca in Turchia, Andrey Karlov.
Torniamo al poliziotto. Il giovane, che secondo il quotidiano turco Yeni Safak lavorava nei reparti anti-sommossa della polizia, si presenta agli addetti mostrando il tesserino della polizia facendo alludere di essere lì come guardia del corpo dell’ambasciatore russo. Entra e si piazza alle spalle del diplomatico. Indisturbato, apparentemente tranquillo. Lo si può vedere, nella posa descritta, in questa foto scattata da Burhan Ozbilici, fotografo dell’Associated Press che era lì per caso e che è riuscito a svolgere il suo lavoro nonostante ciò che è accaduto in seguito. Pochi minuti dopo, come si vede dal video dell’uccisione, Altintas estrae la pistola e spara almeno 8 colpi (stando a quanto riportato dal fotografo). Con l’adrenalina in corpo, e magari pensando di essere raggiunto dai proiettili della sicurezza, grida agitato: “Finché i nostri fratelli non saranno al sicuro, nemmeno voi potrete godervi la sicurezza” -riporta il quotidiano Sabah- “Chiunque abbia un ruolo in una simile oppressione la pagherà, uno alla volta. Solo la morte potrà portarmi via da qui”. A chi si riferisce l’attentatore quando parla di “nostri fratelli”? Ai curdi? Molto improbabile per due motivi: il poliziotto è nato a Soke, nella provincia di Aydin, regione dell’est della Turchia. Non propriamente il Curdistan. In secondo luogo il riferimento ideologico è apparso chiaro quando ha alzato il dito al cielo è ha urlato il fatidico “Allahu Akbar”. Stando a quanto riportato dal quotidiano Hurriyet, l’uomo avrebbe anche intonato l’inno dell’ex Fronte al-Nusra, ora Fateh al-Sham. La matrice islamista è evidente, i “suoi fratelli” sarebbero, quindi, i terroristi presenti in Siria che sono stati cacciati da Aleppo dall’esercito lealista e dall’apporto aereo russo. Forse adesso il quadro sulle motivazioni e sulla scelta del luogo simbolico dell’attentato sono più chiare. Altro che lacrime per Aleppo.
C’é pero una regola che non si può evitare che è la regola del sospetto sopratutto in scenari dove il movente viene così goffamente e palesemente servito in diretta tv da un’attentatore che poi puntualmente muore, e tace per sempre. C’è il dettaglio gigante legato al meeting Russo-Turco-Iraniano che si sarebbe dovuto svolgere in queste ore e che vede al centro del tavolo anche la questione curda, una sorta di scambio alla pari che sacrificherebbe l’epopea curda, spezzata dall’operazione turca in Siria detta “Scudo dell’Eufrate” che ha diviso a metà il territorio curdo e l’attività iraniana russa e siriana ad Aleppo. In più c’è la questione del futuro assetto del nord della Siria, che vede una provincia di Idlib stracolma di terroristi superstiti e ancora in attività con una fortissima presenza di comunità turcomanne che da sempre lega questi territori alle influenze di Ankara. E’ quanto mai chiaro che la verità non verrà mai fuori, ma c’è di sicuro l’intenzione di qualche attore di far apparire la Turchia post golpe ed Erdogan più deboli di quello che in realtà sono per scongiurare una possibile adiacenza d’interessi turco iraniani bilanciati dalla mediazione russa che darebbe un nuovo ordine alla regione medio orientale, a spese dei Curdi delle formazioni ribelli e con il placet più, o meno entusiasta, dei Siriani.
Quello che non è affatto chiaro è come tutto ciò sia potuto accadere. L’attentatore è stato ucciso solo dopo aver avuto anche un paio di minuti per inscenare la pantomima dell’invocazione ad Allah e del grido di vendetta. Non bisogna necessariamente essere esperti di sicurezza per porsi le seguenti domande: com’è possibile che gli addetti alla sicurezza abbiano fatto entrare il terrorista non sincerandosi della sua identità? Com’è possibile che il giovane poliziotto si sia potuto mettere tranquillamente alle spalle dell’ambasciatore, da solo? Dalle foto sembra che in sala non ci sia nessun addetto alla sicurezza eccetto, forse, uno. Com’è possibile che non vi sia stata una “cintola” di agenti attorno o nei pressi del diplomatico? Com’è possibile, infine, che gli agenti siano accorsi solo dopo alcuni minuti per sparargli? Dov’erano prima di rispondere al fuoco? Si potrebbero costruire castelli di teorie complottiste solo con queste domande. Non lo faremo, ma rimaniamo ai fatti che comunque sono alquanto assurdi. In una situazione politica del genere, e cioè con il riavvicinamento di due potenze che non hanno mai avuto chissà quali ottimi rapporti di amicizia, con la guerra in Siria che va avanti da circa cinque anni, pochi mesi dopo un tentativo di golpe e pochi giorni dopo la liberazione di Aleppo la sicurezza di un ambasciatore russo è inesistente. Incompetenza dagli agenti? Se così fosse, sarebbe incomprensibile. E, comunque, poco credibile visto che l’attentatore era un uomo di 22 anni armato di pistola. Non era un battaglione di forze speciali armato di artiglieria pesante.
Aurelio Pagani e Alberto Palladino