Pyongyang, 4 gen – “Abbiamo intrapreso azioni risolutive per eliminare una fazione di feccia dal nostro partito e questa epurazione dagli elementi antirivoluzionari lo ha rafforzato”. E’ uno stralcio del rituale discorso alla nazione in occasione della fine dell’anno, leggermente diverso, nei contenuti e nei toni, dai sermoni ai quali siamo abituati da anni sulle nostre emittenti. Fra le varie accuse che si possono rivolgere al leader nordcoreano Kim Joung-un, a iniziare dalla pettinatura, non compare certo la stucchevole retorica del buonismo politico.
Il Brillante Compagno ha annunciato senza molti giri di parole di aver fatto condannare a morte lo zio, ed ex consigliere, Jang Song-tahek, insieme ai suoi collaboratori più stretti. L’accusa è quella di aver cercato di creare una corrente interna al partito unico per soddisfare ambizioni politiche personali; Jang Song, inoltre, sarebbe stato pubblicamente indicato come personaggio dalla condotta morale “decadente”, dedito al consumo di droghe e alla frequentazione di prostitute. Mistero, invece, circa la fine della moglie Kim Kyong-hui, militare ed ex responsabile dell’industria nordcoreana, sparita dopo la condanna a morte del marito emessa dalla Corte marziale lo scorso dicembre.
La vicenda politica si chiude qui e apre le porte ai contorni quasi cinematografici riguardo alla fine del decadente e cospiratore zio Jang Song. L’agenzia cinese Wen wei po ha riportato i particolari dell’esecuzione, raccontando una scena degna della regia del miglior Takeshi Kitano: Jang Song sarebbe stato spogliato e gettato nudo all’interno di una gabbia piena di 120 cani tenuti a digiuno da tre giorni. Pare che all’esecuzione abbia assistito lo stesso Kim Kyong, insieme a 300 ufficiali dell’esercito, impassibili di fronte al corpo dilaniato per oltre un’ora dai cani affamati.
Francesco Pezzuto