Roma, 19 feb – “Siamo pronti a contribuire al monitoraggio di un cessate il fuoco e al mantenimento della pace, pronti a lavorare all’ addestramento delle forze armate in una cornice di integrazione delle milizie in un esercito regolare e per la riabilitazione delle infrastrutture”, ha detto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu il rappresentante permanente italiano Sebastiano Cardi.
La conferma arriva anche dal ministro degli interni Angelino Alfano che a Washington ha sottolineato come “noi siamo parte di una comunità internazionale e siamo pronti a fare la nostra parte. Ma ogni ragionamento che individui un’azione specifica è prematuro, e in questo momento fuori luogo”.
Ieri il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è riunito per discutere della vicenda e alla fine ha deciso di non decidere. Come si evidenzia nell’imbarazzante comunicato finale, non sono state adottate risoluzioni e non è passata l’idea di un intervento militare sostenuta dal Cairo. Resta solo l’invito a un generico dialogo risolutore e a una non meglio precisata “soluzione politica” (ma avranno capito che parliamo dell’Isis?). All’Onu il governo egiziano chiede che almeno venga revocato l’embargo sulle armi per il governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale, cioè quello costretto ad operare da Tobruk poiché a Tripoli la fa da padrone un governo “parallelo” formato dalle milizie islamiche.
Una richiesta avanzata anche dallo stesso governo, tramite il ministro degli Esteri Mohammad al Dairi. L’orientamento del Palazzo di Vetro sembra però diverso. Al momento la prospettiva più concreta sembra quella che prevede di concedere altro tempo al mediatore dell’Onu Bernardino Leon, considerato che un intervento militare internazionale, o anche la fornitura di altre armi ad una sola delle parti in conflitto allontanerebbe la possibilità della solita soluzione “politica”. Quindi, in sostanza, la soluzione Onu è: parole, parole, parole…