Roma, 23 feb – Gli aggressori del convoglio su cui viaggiava il diplomatico italiano Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci, uccisi ieri in Congo, “erano sei in possesso di cinque armi del tipo AK47 e di un machete”. Sarebbero queste le conclusioni delle prime indagini compiute dagli inquirenti della Repubblica democratica del Congo e riportate dal sito Cas-info che cita una nota del governatore della provincia di Sud-Kivu. Gli assalitori avrebbero costretto le persone a bordo a scendere e a seguirli nel parco dei Virunga dopo aver ucciso uno degli autisti per creare il panico.
Rapimento finito male? Volevano uccidere l’ambasciatore? Troppe cose non tornano
Sulla morte dei due italiani però sono troppe le cose che non tornano: è stato un rapimento finito male? Volevano uccidere l’ambasciatore? Allo stato attuale, le autorità congolesi non sanno o non vogliono riferire come si sia svolto lo scontro a fuoco in cui sono stati colpiti i nostri connazionali. Un team della presidenza della Repubblica democratica del Congo partirà oggi per Goma per seguire l’inchiesta sull’agguato. Lo ha reso noto sempre il sito Cas-Info. I servizi competenti, si legge, sono stati istruiti a fare in modo “che sia fatta luce su questo crimine odioso nei migliori tempi possibili” e i responsabili siano “identificati e portati davanti alla giustizia”. Oggi inoltre arriverà in Italia un inviato della presidenza congolese, con una lettera per il premier Mario Draghi.
L’imboscata in quella che doveva essere una strada sicura
Allo stato attuale si ipotizza una imboscata a scopo di sequestro. Il convoglio stava viaggiando verso nord, sulla strada tra Goma e Rutshuru, dove il diplomatico italiano avrebbe dovuto visitare un programma di distribuzione di cibo nelle scuole dell’agenzia dell’Onu. Due jeep, davanti quella della missione del Programma alimentare mondiale, dietro quella con l’ambasciatore italiano in Congo. Con lui un funzionario italiano del Pam, Rocco Leone, e di scorta un carabiniere, Vittorio Iacovacci. Due autisti, due bodyguard congolesi, sette persone in tutto. La strada è considerata sicura, questo spiegherebbe l’assenza della scorta dei caschi blu. Poi ad un certo punto, come riporta il Corriere della Sera, la strada è bloccata da un mucchio di pietre, le due jeep frenano. A quel punto spuntano sei, forse sette uomini con armi leggere. All’inizio è una raffica d’avvertimento, verso l’alto. Poi una raffica contro la jeep del diplomatico, che uccide l’autista, Mustafa Milambo. L’ambasciatore Attanasio, Rocco Leone e il carabiniere Iacovacci invece vengono fatti scendere.
L’arrivo dei ranger e lo scontro a fuoco
E’ dunque in rapimento? A quanto pare gli assalitori danno ordini in swahili ai tre italiani. Gli dicono di fare presto, di muoversi. Ma tra di loro parlano in kinyarwanda. E’ una lingua ruandese comune tanto tra i fuorusciti hutu delle Fdlr, le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (che negano la responsabilità dell’attacco), quanto fra jihadisti ugandesi Adf, che vantano legami con l’Isis e imperversano in questi confini del Congo. L’ambasciatore e gli altri vengono fatti camminare per qualche decina di metri. Poi, sempre secondo la versione ufficiale del governo di Kinshasa, all’improvviso sarebbero spuntati dal nulla i soldati e i ranger governativi, richiamati dai colpi dei presunti rapitori.
Non è chiaro chi ha sparato ai due italiani
C’è uno scontro a fuoco. E a quanto pare non è chiaro chi avrebbe sparato ai due italiani. Il carabiniere Iacovacci muore sul colpo. L’ambasciatore Attanasio viene colpito all’addome e perde molto sangue. Lo caricano su un pick-up, la bodyguard di Leone gli tiene la testa. Quando il diplomatico arriva all’ospedale di Goma, a circa 20 km dal luogo dello scontro a fuoco, non c’è più niente da fare. Si esclude il rapimento di altre persone, presumibilmente gli assalitori puntavano agli “uomini bianchi”. Sull’intera vicenda resta dunque un alone di mistero.
Attanasio senza auto blindata, senza scorta e senza giubbotto antiproiettile
Quel che è certo è che l’ambasciatore Attanasio non aveva un’auto blindata ed era senza scorta. Non indossava neanche un giubbotto antiproiettile. Nessuno portava l’auricolare. Non c’erano le bandiere italiane a segnalare la presenza del diplomatico nel piccolo convoglio. A sentire le autorità congolesi e quelle delle Nazioni Unite, la strada era tranquilla. Dal canto suo, il governatore della regione Kasivita, si dice “sorpreso” di non essere stato informato in anticipo della missione. Ma qualcuno voleva uccidere l’ambasciatore italiano, questo è sciuro.
I Ros indagheranno in Congo
Ecco perché i nostri Ros indagheranno in Congo. La Farnesina chiede un report dettagliato al Pam e un’inchiesta Onu per chiarire su quali basi la strada Rn4 fosse ritenuta sicura. Anche perché nell’area attraversata dal convoglio, chiamata “le tre antenne”, tre anni fa sono stati rapiti due turisti inglesi. E nel parco Virunga, solo negli ultimi anni, sono stati uccisi circa duecento ranger. Per non parlare dei continui rapimenti di missionari e volontari in cambio di denaro. Tutto il territorio del Nord-Kivu è da anni teatro di continui scontri armati tra decine di milizie che si contendono il controllo delle risorse naturali.
Adolfo Spezzaferro
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