Roma, 18 nov – In queste settimane si nota un enorme fermento nel mondo arabo, in particolare in relazione alla maggiore attività dell’Arabia Saudita che, in pochi mesi, è andata ai ferri corti con il Qatar (e la Turchia, quindi), ha aumentato la tensione con l’Iran, migliorato e reso palesi i rapporti con Israele, proceduto con una purga interna, ancora in corso, per eliminare alcuni membri della classe dirigente invisi al nuovo principe: parecchia roba.
Consideriamo questo caos una conseguenza degli atteggiamenti della nuova amministrazione americana che ha lasciato intendere progetti di sganciarsi parzialmente da quella zona (che Trump ha fatto notare è costata migliaia di miliardi di dollari al contribuente americano nei decenni): Riad sa di dover cominciare a doversi garantire la propria sovranità da sola e ne trae le logiche conseguenze: quindi maggiori acquisti di armi (dagli Usa, ma anche dalla Russia), maggiore attività politica, spinta ad una certa modernizzazione sociale ed economica nei prossimi anni.
Ovviamente in quel vespaio di alleanze asimmetriche, doppi giochi e tradimenti che tradizionalmente è la diplomazia araba tutti sanno che la mancanza di un attore esterno come gli Usa che ponessero dei limiti ai singoli attori, bene o male, porterà ad un aumento della conflittualità tra i vari attori politici. Tuttavia la politica rifugge il vuoto e vediamo all’orizzonte la nascita di un imperialismo, dalle differenti forme, ma, poco per volta, palese.
Ci riferiamo a quello cinese: ora, mentre esistono conflitti tra Qatar e Arabia saudita, tra mondo sciita e mondo sunnita, Pechino riesce nel capolavoro diplomatico di presentarsi come interlocutore per tutti.
Recentemente XI Jinping, il Segretario generale del Partito comunista cinese, ha affermato che la Cina “appoggia la scelta di Riad di difendere la propria sovranità”, ovvero ha di fatto avvallato il repulisti interno che sta accadendo in queste settimane ad opera del nuovo principe; in cambio ha ottenuto la vendita di commesse militari ( per ora sembra soltanto droni) a Riad e la promessa di quest’ultima di aiutare il faraonico progetto “one belt” cinese tramite finanziamenti.
Contemporaneamente continuano i buoni rapporti con l’Iran: che proseguono da anni e si sono intensificati durante l’embargo promosso dagli USA, la Persia è storicamente l’alleato cinese in zona e gli scambi commerciali sono e stanno aumentando vertiginosamente in questi anni.
Per quanto riguarda il Qatar, che si trova nella curiosa situazione di avere alleati che tra di loro non si possono sopportare, costruiti tramite un sapiente ed enorme uso degli investimenti finanziari come strumento di pressione diplomatica, come si comporta la Cina? La Cina è il primo acquirente del gas qatariota e questo basta a renderla un interlocutore privilegiato, soprattutto in questo momento di isolamento da parte del piccolo paese arabo e recentemente il ministro cinese per la Pubblica sicurezza ha firmato una patnership con il governo qatariota in merito alla lotta al terrorismo. Si tratta di un accordo, dal punto di vista dell’intelligence, di importanza capitale perchè Doha è notoriamente il paese che più finanzia (e dunque controlla, almeno in parte) i movimenti islamici radicali in tutto il mondo e, attraverso questo interlocutore, la Cina si è aperta un canale sia di informazioni, sia di più o meno indiretta influenza su un intero mondo dal quale era esclusa e che invece ha importanza crescente in Occidente.
Per quanto sembri impossibile, la Cina sta agendo come un impero: con una strategia di lungo termine e con dei progetti.
E’ importante capire che la tradizione diplomatica cinese si basa soprattutto sullo stringere buoni rapporti piuttosto che ottenere buoni risultati e che Pechino è sempre disposta a una piccola concessione temporanea, a pagare il gas più del necessario ad esempio, se è sicura di poter stringere a sè il proprio interlocutore.
L’ossessione di aprire un canale, sviluppare legami, influenza in modo graduale, senza imporre valori, ma scambi tendono a mettere sempre più Pechino al centro di una enorme ragnatela di interessi: una enorme struttura politica caratterizzata dal fatto che tutti gli attori partecipanti non possano permettersi che la Cina si indebolisca troppo per non perdere i propri singoli vantaggiosi accordi.
Forse, anche se ora è troppo presto per dirlo, ci troviamo agli inizi di un nuovo imperialismo in quella zona: solo più efficiente (e quindi più pericoloso) di quello precedente.
Guido Taietti
2 comments
Dunque fatemi capire, prima perche c’erano gli USA non andava bene perche’ quelle guerre non andavano fatte. Adesso che si rittirano, finalmente, non va bene perche’ cosi lasciano spazio ad altri? Risolvete questo paradosso grazie
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