Roma, 18 mar – Il Kosovo è l’unica nazione del continente europeo ad aver aperto un’ambasciata a Gerusalemme. Una decisione che non può essere trascurata perché la questione dello status della “città santa” è tuttora uno dei punti nodali dei rapporti tra Israele e Palestina. Il Kosovo è oltretutto il solo Paese a maggioranza musulmana ad aver scelto di stabilire la propria ambasciata a Gerusalemme e il terzo in assoluto, dopo Stati Uniti e Guatemala. Ci sono poi altri Paesi, è il caso ad esempio della Repubblica Ceca, ad aver aperto recentemente a Gerusalemme uffici diplomatici di minore importanza. Colpisce dunque, almeno di primo acchito, che Israele abbia accolto la decisione del Kosovo, un microstato con all’attivo tra l’altro un ex presidente e un ex premier accusati di crimini contro l’umanità.
Kosovo, l’ambasciata a Gerusalemme col beneplacito Usa
In realtà si tratta di una scelta dettata da Washington lo scorso settembre, quando Donald Trump ospitò l’allora primo ministro kosovaro Avdullah Hoti. Cosa peraltro ammessa quattro giorni fa dal ministro degli Esteri di Pristina, che ha motivato l’apertura dell’ambasciata come una conseguenza dell’instaurazione di rapporti diplomatici con Israele il primo febbraio 2021 e di un summit Kosovo-Serbia che si tenne appunto alla Casa Bianca a settembre 2020.
L’Autorità nazionale palestinese non ha comprensibile preso bene la notizia. “Un passo unilaterale che avrà un impatto sul futuro del processo politico e contribuisce a violare gli accordi siglati con la parte israeliana”, ha detto Mohammed Shtayyeh, primo ministro dell’Anp durante un discorso a Ramallah. Decisioni che “non riusciranno a violare i nostri diritti legittimi a Gerusalemme, che è territorio palestinese occupato e la capitale del nostro Stato palestinese”, ha dichiarato Shtayyeh. Mentre il Consiglio nazionale palestinese, organo legislativo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), condanna la mossa del Kosovo definendola un “atto illegale che gratifica l’occupante, invece di chiamarlo a rendere conto e imporre sanzioni contro di esso”.
Il colpevole silenzio Ue
La reazione infuocata palestinese era prevedibile, lo è meno il silenzio dell’Unione europea. E dire che a febbraio Bruxelles aveva espresso “rammarico” per la decisione di Pristina di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele, perché “diverge dalle posizioni dell’Ue su Gerusalemme”. L’Ue precisò che “per quanto riguarda le rappresentanze diplomatiche: tutte le delegazioni dell’Ue e le ambasciate degli Stati membri sono ubicate a Tel Aviv, in base alle risoluzioni Onu e alle conclusioni del Consiglio europeo”. Visto poi che “il Kosovo ha identificato nell’integrazione europea la sua priorità strategica”, l’Ue si aspettava che agisse “in linea con questo impegno”. Così non è stato e adesso l’Europa tace.
Il terrorismo jihadista nei Balcani
Giova allora ricordare a Bruxelles il rischio che corre nel non prendere una posizione chiara sulla questione. Le mancate pressioni nei confronti di Pristina sono un pericolo per la stabilità dell’area balcanica, per diversi ragioni. Una su tutte riguarda il terrorismo che si annida nei meandri del Kosovo. Nello studio Western Balkans Foreign Fighters and Homegrown Jihadis: Trends and Implication, pubblicato lo scorso novembre dal Combating Terrorism Centre di West Point, si sottolinea il problema dell’islamismo jihadista nel cuore dei Balcani. E in particolare proprio in Kosovo.
Dal 2012 al 2019, spiega l’autore dello studio Adrian Shtuni, circa 1.070 cittadini di Kosovo, Bosnia-Erzegovina, Nord Macedonia, Albania, Serbia e Montenegro si recarono in Siria e Iraq per combattere sotto le insegne dell’Isis. Il Kosovo fu il Paese da cui partirono più jihadisti: 256. Come se non bastasse, alcuni di questi terroristi vennero poi rimpatriati nel microstato balcanico. Peccato che le sentenze inflitte loro siano state a dir poco miti: condanna media a 3 anni e mezzo. Di conseguenza nel 2019 il 40% dei jihadisti condannati era già uscito dalle carceri kosovare.
Eugenio Palazzini
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