Roma, 9 set – Chiuso per sospensione dei lavori fino al 14 ottobre. E’ l’ipotetico cartello che potrebbe essere appeso all’ingresso del Parlamento britannico, che dalla fine della seduta di oggi va “in ferie” per più di un mese. Il portavoce di Downing Street, dopo aver formalizzato la decisione, ha confermato che il premier Boris Johnson non chiederà all’Unione Europea un ulteriore rinvio sulla Brexit. Nonostante l’approvazione della legge anti-no deal, sembra dunque cosa fatta l’uscita di Londra dall’Ue il 31 ottobre.
C’è però ancora la possibilità di un nuovo accordo con Bruxelles, almeno fino al 17-18 ottobre, pochi giorni dopo la riapertura del Parlamento a Londra e ultimo momento in cui il Consiglio Europeo potrebbe sancirlo. Una corsa contro il tempo ma in linea con il continuo tergiversare, rimandare, rivedere e poi sospendere, a cui abbiamo assistito durante il governo guidato da Theresa May. Da questo punto di vista sembra che Londra sia ingessata da una singolare sindrome del Gattopardo, perché se molto sembrava cambiato in realtà quasi tutto è rimasto com’era prima.
Conservatori nettamente in testa
In ogni caso, comunque la si voglia vedere, grande è la confusione sotto il plumbeo cielo londinese. Dunque la situazione è favorevole per Boris Johnson, che in attesa delle prossime elezioni (molto probabili) nel Regno Unito, vola nei sondaggi. Sarà per la scarsa credibilità degli avversari, eppure malgrado la maggioranza persa in Parlamento, le dimissioni in casa Tory del ministro del Lavoro Amber Rudd e lo smacco rimediato sulla legge anti no-deal, i conservatori si attestano oggi al 35%.
Il sondaggio, effettuato dall’istituto YouGov, vede il partito di Johnson staccare i Labour di ben 14 punti percentuali. Il partito di Jeremy Corbyn è infatti in calo e attualmente al 21%. Laburisti tra l’altro tallonati dai filo-Ue, i LibDem dati al 19%. Mentre il Brexit Party di Nigel Farage è al quarto posto con il 12%. Quest’ultimo è probabilmente un dato al di sotto delle aspettative ma sufficiente, eventualmente, a garantire all’attuale premier la maggioranza dei seggi in Parlamento. Previo accordo tra i due partiti, ovviamente.
Eugenio Palazzini