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Berberi assaltano e occupano stabilimento dell’Eni

by Giuseppe Maneggio
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Sempre più caotica la situazione in Libia. A farne le spese anche e soprattutto l'Eni

Sempre più caotica la situazione in Libia. A farne le spese anche e soprattutto l’Eni

Tripoli, 13 nov – Un gruppo di manifestanti ha preso d’assalto il gasdotto sottomarino Greenstream in Libia, lo stesso che approvvigiona di metano l’Italia e che è di proprietà dell’Eni. Greenstream è il più lungo gasdotto sottomarino mai realizzato nel Mediterraneo: ha un diametro di 32″, è lungo circa 520 Km e attraversa il mare in punti dove la profondità dell’acqua raggiunge 1.127 metri.

L’azione è stata rivendicata, come forma di protesta, da parte della minoranza berbera (amazigh, il nome che i berberi attribuiscono a sé stessi) che chiede il riconoscimento dei propri diritti da parte del governo centrale. Un portavoce dei manifestanti ha spiegato le ragioni di questo assalto ai danni del gasdotto dell’Eni: “Il governo di Tripoli rifiuta di ascoltare le nostre richieste, ovvero il riconoscimento della lingua berbera nella nuova costituzione libica e una maggiore rappresentanza in Assemblea Costituente.”

Ennesima tegola per la Libia “liberata” alle prese da mesi con un calo della produzione di greggio proprio a causa dell’instabilità interna del paese e delle numerose proteste presenti soprattutto nell’area di Bengasi. I manifestanti amazigh, a ottobre, avevano occupato il porto di Mellitah, impendendo le esportazioni di petrolio gestite dalla nostra Eni e dalla National Oil Corp libica, mentre a settembre avevano bloccato le attività nell’impianto di Wafa, sempre di proprietà dell’Eni.

Le tensioni libiche non permettono alla compagnia energetica italiana Eni di poter garantire continuità negli approvvigionamenti: i 9,9 miliardi di metri cubi di metano che ogni anno Greenstream produce permettono di soddisfare il 12,2% della domanda italiana. Ad oggi la produzione libica è crollata al 40%. In Cirenaica è nato ad ottobre anche un governo autonomo ufficioso, a capo del quale si è posto l’ex generale Abd-Rabbo al-Barassi e che ha annunciato la creazione di una compagnia energetica slegata da Tripoli. Subito il premier Zeidan ha lanciato un ultimatum: dieci giorni di tempo per abbandonare il controllo degli impianti di estrazione.

Appare sempre più certa la divisione interna tra Cirenaica e Tripolitania. Si concretizza all’orizzonte la creazione di un governo autonomo, parallelo a quello centrale, e il possibile passo verso la nascita di una federazione di stati. Dalla caduta del colonnello Gheddafi, l’unico in grado di mantenere l’unità del paese,  Bengasi viaggia su un binario diverso da quello di Tripoli che ormai pare averne perso il controllo. Anche questo caos dobbiamo imputarlo al duro prezzo da pagare per ottenere la democrazia?

Giuseppe Maneggio

 

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