Roma, 25 ott – L’interminabile conflitto mediorientale sembra svilupparsi, in questi giorni, su tre fronti principali.
Il primo è quello che divide la città di Aleppo, la cui parte orientale, occupata dalle milizie islamiste del Fronte Al Nusra e dei suoi alleati, sembra vicina alla resa dei conti. Da una parte infatti si susseguono i proclami che parlano di un imminente assalto finalizzato a spezzare l’assedio governativo, mentre dall’altro l’esercito siriano, con gli alleati sciiti iracheni, iraniani e libanesi, pare sul punto di sferrare l’attacco decisivo. Nei giorni scorsi il governo, d’accordo con l’aviazione russa, ha proclamato un cessate il fuoco unilaterale per permettere ai civili di abbandonare i quartieri orientali, offrendo altresì una dignitosa via di fuga ai miliziani che difendono un fazzoletto di territorio sempre più ristretto. Gli islamisti, in tutta risposta, hanno aperto il fuoco sui civili che tentavano di abbandonare Aleppo est, per scoraggiare qualsiasi tentativo di rifugiarsi nei territori in mano all’esercito fedele al Presidente Assad. Inoltre, un intenso fuoco di mortai ha tempestato i quartieri occidentali, causando diverse decine di vittime civili.
Nel frattempo, per prevenire l’annunciata controffensiva, le forze armate di Damasco hanno attaccato i villaggi che si trovano a sudovest di Aleppo, rafforzando l’anello di sicurezza attorno ai quartieri assediati. La sensazione è che i ribelli abbiano esaurito la loro capacità di dettare l’agenda, e siano costretti, dalla ritrovata forza dell’esercito siriano e dal diminuito supporto internazionale (l’intervento turco ha legato le mani agli Stati Uniti, mentre l’Arabia Saudita attraversa difficoltà politiche, militari ed economiche tali da costringerla a ridurre gli aiuti agli “amici” islamisti), a concentrarsi su una battaglia alla volta, mentre Damasco è in grado di gestire diversi fronti, a differenza di quanto accadeva pochi mesi fa.
Il secondo fronte, pochi chilometri più a nord, vede i cosiddetti “ribelli moderati” dell’Esercito Libero Siriano (Free Syrian Army – FSA) recuperare, spalleggiati pesantemente dalla Turchia, ampie porzioni di territorio all’Isis nel settore di Al Bab. La loro azione è tuttavia rivolta anche contro le milizie curde dell’YPG, alleate del PKK, braccio armato dei Curdi di Turchia, e bestia nera dell’esercito di Ankara. Il paradosso – ma il conflitto siriano ci ha abituati a questo e ad altro – è che la Turchia è alleata degli Stati Uniti, attraverso la Nato, e gli Stati Uniti hanno appoggiato apertamente i reparti curdo-siriani, che mesi fa hanno dato la prima spallata all’Isis in quel territorio.
La notizia più recente, in questo settore, è l’inizio di una collaborazione militare fra Turchia e Russia, come riporta il quotidiano russo Izvestia, il cui fine sarebbe quello di ripulire il Governatorato di Aleppo dai gruppi islamisti (Isis verso il confine turco, Al Nusra e altri ad Aleppo città), evitando possibili pericolosissimi scontri fra gli eserciti turco e siriano e i rispettivi alleati.
Il terzo quadrante in cui, da più di una settimana, si combatte in modo continuo è quello iracheno. Non ci si può più limitare a parlare di Mosul, in quanto l’Isis ha tentato due sortite particolarmente virulente. La prima, respinta dai Peshmerga curdi e dalle forze speciali irachene, con il supporto aereo americano, si è sviluppata a Kirkuk, e ha evidenziato la facilità con cui decine di miliziani dell’Isis sono riusciti a penetrare in territorio nemico, ingaggiando una vera e propria battaglia. La seconda, a Rutba, vicino al confine fra Iraq e Giordania, sembrerebbe per ora premiare lo Stato Islamico, che avrebbe preso pieno controllo della cittadina.
L’avanzata di Curdi e Iracheni su Mosul invece prosegue, anche se rallentata dalla tattica e da un inaspettato furore degli uomini di Al Baghdadi. Gli attaccanti sono costretti a trincerare costantemente i territori conquistati e le linee di comunicazione con terrapieni e fortini che devono fermare eventuali contrattacchi dell’Isis, in cui i camion-bomba (Vbied – vehicle-borne improvised explosive device) giocano il ruolo dell’ariete che sventra le difese avversarie permettendo gli assalti della fanteria.
Le avanguardie delle formazioni curde e irachene sarebbero comunque vicine a Mosul, e teoricamente, stando agli accordi, i Curdi – e con loro le milizie sciite che di fatto rispondono a Teheran – dovrebbero ora fermarsi, per lasciare all’esercito iracheno il compito di penetrare nella città, quasi totalmente sunnita, evitando così il rischio di faide etniche e religiose.
Un aspetto preoccupante della battaglia di Mosul riguarda il fatto che le linee di attacco sono partite da nord, da sud e da est, lasciando di fatto all’Isis la possibilità di fuggire verso ovest, ovvero verso i territori che lo Stato Islamico controlla in Siria. Si è letta l’intenzione, da parte della regia dell’operazione, di marca statunitense, di mettere in difficoltà Assad, rafforzando i contingenti dell’Isis che fronteggiano l’esercito di Damasco nei pressi di Palmira e nella zona a sud di Raqqa. Sarebbero infatti già migliaia i miliziani fuggiti da Mosul in direzione Siria, e nella giornata di lunedì si è registrata una battaglia nei pressi di Sinjar, località strategica che collega il nord dell’Iraq con i territori siriani occupati dallo Stato Islamico.
Proprio per scongiurare questa eventualità, le Unità di Mobilitazione del Popolo, una sigla che comprende svariate formazioni militari irachene in maggioranza sciite, si starebbero ammassando a nord di Tal Afar, settanta chilometri a ovest di Mosul, per attaccare le postazioni dell’Isis che controllano quel tratto di strada, anch’esso strategico per i collegamenti fra Mosul e Raqqa.
Per ragioni diverse, Mosul e Aleppo rappresentano in questo momento i due punti chiave sia nella lotta contro l’estremismo islamico di matrice sunnita, sia nella sfida per la ridefinizione della mappa geopolitica dell’intera area mediorientale.
Mattia Pase