Roma, 31 lug – A differenza di altri Paesi africani, il Kenya ha fatto progressi enormi per aumentare l’accesso della popolazione alla rete elettrica, ma ovviamente c’è ancora molto da fare visto che il governo si è posto come obiettivo quello di produrre entro il 2030 tutta l’energia da fonti rinnovabili. Buona parte dell’energia prodotta in Kenya proviene da impianti idroelettrici, tuttavia la siccità ha ridotto la loro capacità di produzione obbligando la società statale Kenya Power a usare impianti diesel che oltre ad essere inquinanti sono anche costosi. I costi elevati dell’elettricità rendono le imprese keniote poco competitive, impedendo così la crescita economica del Paese e la creazione di posti di lavoro. Adesso però molte imprese hanno deciso di agire e di produrre direttamente l’elettricità di cui hanno bisogno. Per fare questo la gran parte delle imprese si servono di mini generatori che usano prevalentemente pannelli a energia solare e impianti eolici, mentre altre utilizzano il calore residuo dei loro impianti.
Kenya, come le imprese producono l’elettricità che consumano: un caso degno di nota
Riguardo l’uso del calore residuo è degno di nota il caso di Devki Group, un conglomerato con interessi nella produzione di cemento, acciaio e alluminio, il quale non compra elettricità da Kenya Power, ma la produce usando i propri impianti eolici e fotovoltaici, nonché attraverso il calore residuo dei suoi impianti.
Effettivamente la produzione di elettricità da generatori alternativi è più economica rispetto a quella prodotta da Kenya Power e non a caso sempre più società stanno iniziando a costruire i loro impianti di produzione a energia solare. Tra queste vi sono Kapa Oil Refineries, Williamson Tea Plc, London DIstillers, Bamburi Cement e Pwani Oil.
Giuseppe De Santis