Roma, 29 mar – Dmitry Medvedev torna a farneticare su X (ex Twitter) con una dichiarazione che trasuda odio e fanatismo ideologico, paragonando il presidente ucraino Volodymyr Zelensky alla figura di Benito Mussolini e minacciandolo apertamente di una fine simile. Lo fa con il più becero e comune stile partigiano: quello di chi vuole “appendere a testa in giù” qualcuno dal salotto di casa.
Medvedev parla ancora di Piazzale Loreto
Il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa, ha infatti scritto: “Gli americani hanno proposto un ottimo accordo commerciale al freak di Kiev. Se il regime di Kiev lo approverà, il drogato e soci verranno appesi a Maidan, come Mussolini. E se lo rifiuterà, gli Stati Uniti azzereranno il regime banderista. Scacco matto“. Un messaggio che non è solo l’ennesima provocazione – non è la prima volta che il soggetto in questione evoca la mattanza di Milano – ma una dimostrazione chiara di come l’attuale leadership russa abbia la stessa mentalità di quegli stessi partigiani comunisti che nel 1945 inscenarono lo scempio di Piazzale Loreto. Le parole di Medvedev riecheggiano le minacce e gli slogan del più becero antifascismo militante, quello che non si è mai limitato alla lotta politica, ma ha sempre predicato la violenza, l’odio e il linciaggio come strumenti di dominio. Un antifascismo che però non è solo apparenza, come qualcuno ci proverà sicuramente ad obiettare, ma sostanza.
Mosca e l’antifascismo sostanziale
Da anni la Russia si presenta come il “grande baluardo” contro il “nazismo”, sfruttando la memoria della Seconda Guerra Mondiale per giustificare la propria aggressione all’Ucraina e per screditare qualsiasi oppositore. La memoria è certamente un’arma, come gli Israeliani hanno insegnato a tutto il mondo. Un’operazione di propaganda non è mai soltanto “comunicazione”, ma ricerca di un pubblico consensuale. Quale? Quello di certi ambienti italiani ed europei, dove l’antifascismo militante non è mai morto e anzi viene rispolverato ogni volta che serve legittimare la violenza politica. Medvedev, con le sue parole, dimostra di essere assimilato a questo modello e sceglie apertamente i suoi “amici”: evocare l’impiccagione del nemico, usare toni da tribunale del popolo, eliminare ogni spazio per il confronto politico, non è mai una mossa casuale. Utilizzare la retorica “liberatrice”, molto simile a quella anglo-americana, che richiama apertamente le peggiori pagine della storia italiana fatte di vendette sommarie, eccidi e brutalità gratuita, è un’operazione che raggiunge esattamente ciò che vuole dimostrare: Zelensky e l’Europa sono i nazifascisti da abbattere come bestie.
Un requiem per la destra putinista
Per anni, certi ambienti politici e culturali della destra radicale hanno cercato di dipingere la Russia come un’alternativa all’Occidente corrotto e decadente, un faro di valori tradizionali e di ordine contro il caos del liberalismo. Eppure, sono proprio le dichiarazioni di Medvedev – come quelle di Lavrov e dello stesso Putin – che smascherano questa narrazione: Mosca non è un baluardo della civiltà, ma un regime che parla la stessa lingua del comunismo più sanguinario, quello che giustifica l’eliminazione fisica del nemico e che si nutre di odio e repressione. La Russia, nel suo delirio anti-occidentale, sta adottando sempre più i metodi e il linguaggio del peggior antifascismo woke. Non si limita a combattere un avversario, ma lo demonizza, perchè lo vuole vedere morto e umiliato. Esattamente come fecero i partigiani con Mussolini. Inutile sottolineare che ovviamente Zelensky non-è-Mussolini solo perchè Medvedev dice che lo è. Ma la “fasciofobia” è reale, lo slogan “uccidere un Fascista non è reato” è reale, le aggressioni fisiche dentro scuole ed università agli studenti di destra sono reali, le Hammerbande sono reali. Se la Russia vuole spodestare l’Anpi e prendere il controllo della narrazione antifascista, che a sua volta mobilita la violenza, lo sta facendo benissimo. Con un bel requiem per i putinisti di casa nostra: i russi hanno già deciso chi saranno i loro futuri “amici”.
Sergio Filacchioni