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Il “Land grabbing” in Africa: turbocapitalismo all’opera

by La Redazione
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Africa land grabbingMilano, 30 ott – Esiste una legge fisica elementare che associa ad ogni azione una reazione uguale e contraria. Nondimeno, la storia umana obbedisce alla regola medesima. Rebus sic stantibus, lo spostamento di intere regioni in Europa non è casuale. Se l’africano abbandona la terra natia è perché qualcosa se l’accaparra. A volte la guerra, in altre zone la desertificazione, più spesso il Capitale internazionale, testa di ponte di un neo-colonialismo sfrontato.

Il vampirismo liberista affonda il canino nel suolo africano. Land Matrix – piattaforma indipendente che monitora i passaggi di proprietà fondiarie – ha registrato il rinnovato interesse di investitori privati – multinazionali, fondi d’investimento, speculatori ecc. – e Stati stranieri per le vaste aree coltivabili del Terzo Mondo. Dal 2001 ad oggi, la compravendita su larga scala di terreni agricoli ha interessato oltre 38.000.000 di ettari, di cui 17.000.000 nella sola Africa.

Non c’è nulla di spaventosamente criminale nell’acquisto di un terreno. Tant’è che istituti di ricerca e agenzie governative sperano in un picco degli investimenti fondiari, buoni – dicono – per riscattare l’Africa dalle sue umili origini ed avviarla alle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione.

Invero, la celebrazione delle potenzialità salvifiche del Capitale presuppone un’umanità che questo raramente esercita. Di rado gli investimenti stranieri nell’agricoltura africana stabiliscono una situazione di soli vincitori, dove l’investitore ricava il suo profitto ed il paese-obiettivo guadagna in termini di occupazione, know-how e infrastrutture. Più frequentemente, la corsa al suolo africano affama ed impoverisce la popolazione autoctona, arrivando finanche ad ostacolare il libero sviluppo dello Stato che svende terra e risorse.

In una recente intervista, Henk Hobbelink (Grain) ha svelato le gravi ripercussioni del land grabbing sull’occupazione locale: “E’ vero, la multinazionale, quando prende possesso del terreno agricolo, porta macchinari, usa nuove tecniche e dà occupazione. L’evidenza, però, dimostra che il numero di lavoratori impiegati nella nuova impresa è inferiore all’ammontare delle persone che vivevano e lavoravano sullo stesso terreno prima dell’investimento. Il risultato netto è una perdita di occupazione. Non solo: la nuova occupazione da investimento fondiario conta molti lavoratori stranieri, impiegati dall’investitore nelle mansioni tecnicamente più complesse. I lavoratori locali, viceversa, sono ammassati nelle fasce più basse della produzione e retribuiti con salari miseri.

Checché ne dicano i fiancheggiatori del capitalismo assoluto, la distruzione dell’autoproduzione e dell’autoconsumo locale in favore di monoculture su larga scala ha impoverito le popolazioni autoctone, minacciandone la sicurezza alimentare.

D’altronde, l’anti-sviluppo economico fa il paio con violazioni altrettanto deplorevoli e gli sfratti forzosi di intere popolazioni sono un esempio in questo senso.

Non esiste una relazione conclamata tra il land grabbing e gli odierni flussi migratori. Ciononostante, la forza sovversiva del fenomeno è innegabile e contribuisce a destabilizzare intere regioni distruggendo le economie locali.

Luca Parravicini

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1 commento

FR 18 Aprile 2016 - 2:17

ottima analisi davvero!

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