Roma, 5 mag – Dal 2014 al 2015 sono serviti undici giorni in meno per pagare le tasse. Più nello specifico, le piccole e medie imprese – e cioé la stragrande maggioranza del tessuto produttivo nazionale – hanno dovuto lavorare “solo” fino al 9 agosto per mettere da parte ciò che il fisco chiede, mentre l’anno precedente il giorno di liberazione dalle tasse era caduto il 20 dello stesso mese.
La rilevazione, condotta dall’osservatorio “Comune che vai Fisco che Trovi”, osservatorio sulle tasse della Cna – Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media impresa. Se la pressione fiscale “ufficiale” e complessiva si colloca al 43-44% – ma la reale tocca almeno il 50% – quella che grava sulle imprese è decisamente più elevata: nel 2015 il peso complessivo del fisco – la cosiddetta total tax rate – ha toccato il 61% (60.9% per la precisione), stabile rispetto all’anno precedente ma di quasi 20 punti superiore rispetto alla media europea.
A pesare è, in tempi di tagli ai trasferimenti agli enti locali, la selva di adempimenti fiscali imposti da questi ultimi, che hanno generato una pletora di balzelli, fra addizionali e regole diverse da comune a comune e da regione a regione, per far quadrare i propri conti gravati dalla scure governativa. Ecco come si spiega la forte disparità di trattamento entro cui quel 61% di tasse calcolato dalla Cna si colloca: si passa dal 73.2% di Reggio Calabria e dal 71.9% di Bologna al 54.4% di Gorizia. Per fare un paragone: se sullo stretto si lavora fino al 24 settembre per soddisfare il fisco, al confine con la Slovenia gli imprenditori “smettono” di pagare le tasse a metà luglio.
Filippo Burla