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Il governo taglia le tasse. Sì, ma… fra due anni

by Filippo Burla
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modello tasseRoma, 19 set – E’ più o meno da ogni finanziaria alla quale ha messo che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, si presenta alla vigilia dissertando sulla competitività italiana e sul correlato ed elevato peso di tasse ed imposte che gravano su cittadini ed imprese. La tornata dell’anno scorso sembrava essere quella buona: giù Ires e Irpef, due fra le imposte più pesanti (anche se la palma di più disprezzata se la contendono Imu e Irap) per i contribuenti. Alla fine non se ne fece nulla, rinviando il tutto a quest’anno quando la crescita del Pil ben superiore al punto percentuale avrebbe concesso margini di flessibilità: se aumenta il Pil, è chiaro che aumenta anche lo spazio per aumentare – in valore assoluto – il deficit, senza per questo sforare il 3% sul quale l’Ue è isterica.

C’è però un problema. E cioè che il Pil, quest’anno, nella migliore delle ipotesi non supererà la soglia dell’1%, ben lontano da quel +1,6% previsto un anno fa: niente crescita e niente spazio per deficit in più, uguale niente spazio per ridurre le tasse. Il governo non si perde comunque d’animo e il taglio pensa di inserirlo comunque. Tutti felici? Ni, perché, se sarà operativo, lo sarà non prima del 2018. E’ lo stesso discorso fatto nell’autunno dell’anno passato con l’Ires, la cui riduzione è stata sì introdotta, ma a partire dal primo gennaio 2017.

Il nodo è sempre quello delle coperture. Per garantire l’Ires al 24% il governo ha già messo da parte più di 3 miliardi, mentre per sforbiciare l’Irpef, sia pur fra due anni, di miliardi ne servono 25. Se tutto andrà bene 8 miliardi arriveranno dalla flessibilità concordata con Bruxelles, altri da risparmi nel settore sanità, almeno 2-3 dalla spending review e una manciata anche dall’asta sulle frequenze televisive. E il resto? Già la riduzione della spesa sanitaria offre un indizio: se una mano dà, un’altra deve necessariamente togliere.

Filippo Burla

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