Roma, 4 giu – “Un disastro”, soprattutto per la Grecia, ma che ha toccato “anche la Spagna, l’Irlanda, il Portogallo, Cipro, l’Italia, la Francia” tanto da essere ormai diventato “un problema sistemico”. Intervistato da La Stampa, il premio nobel per l’economia 2001 Joseph Stiglitz non usa mezzi termini per cassare l’esperienza della moneta unica europea, sulla quale sta per dare alle stampe il suo ultimo libro. La stroncatura di Stiglitz è totale: “L’euro è stato senza alcun dubbio uno sviluppo cattivo per l’Europa”.
La questione, spiega il celebre economista, risiede principalmente nelle politiche di austerità, “la linea sbagliata da seguire dal punto di vista economico, perché in una situazione di crisi come quella vissuta dall’Europa sarebbe servito l’esatto opposto. Bisognava stimolare l’economia, invece di soffocarla”. A questo punto la bocciatura di Stiglitz, però, si ferma e l’ex consigliere di Clinton e vicepresidente della Banca Mondiale ammette che “l’euro si può ancora riformare”, a partire “dalla possibilità di fare gli aggiustamenti necessari per rispondere alle crisi”.
Quali aggiustamenti? E qui casca il proverbiale asino. Perché l’austerità non è stata una scelta ma una necessità – e Stiglitz, specialista con alti studi in macroeconomia, lo sa benissimo – correlata alla moneta unica. In un sistema a cambio fisso, infatti, per i paesi con moneta sopravvalutata l’unica opzione per riequilibrare gli sbilanciamenti è praticare la svalutazione interna, cioé quanto è stato fatto con i tagli lineari, le decurtazioni allo stato sociale, la riduzione dei salari reali. In caso contrario – cioè con un incremento della spesa pubblica – tra Grecia, Italia e Spagna avremmo fatto a gara a chi sarebbe saltato per aria per primo. L’austerità non è stata dunque un errore, bensì l’unica strada percorribile e connaturata all’esistenza dell’euro per mantenerlo in vita. Quando parla di soluzioni e aggiustamenti, Stiglitz si riferisce forse alla svalutazione? Non è la panacea di tutti i mali e la fissità dei cambi fra paesi europei resterebbe comunque, rimandando solo al futuro prossimo gli attuali problemi. La solidarietà fiscale? La Germania non ha accettato di condividere i rischi bancari, è pressoché escluso che possa passare generosamente i miliardi del suo surplus commerciale agli altri membri dell’Ue. Forse, in ultimo ma non per ultimo, l’euro a due o tre velocità? Allora a questo punto tanto vale tornare direttamente alle valute nazionali.
Filippo Burla