Trani, 31 mar – Standard & Poor’s l’ha fatta franca. Il Tribunale di Trani ha, infatti, respinto la tesi della manipolazione di mercato, formulata dal pm Michele Ruggiero, per la nota agenzia di rating. Gli imputati erano accusati di aver fornito ‘intenzionalmente’ ai mercati finanziari – tra maggio 2011 e gennaio 2012 – quattro report contenenti informazioni tendenziose e distorte sull’affidabilità creditizia italiana e sulle iniziative di risanamento adottate dal governo. L’operato di S&P, secondo l’accusa, provocò: “una destabilizzazione dell’immagine, del prestigio e degli affidamenti creditizi dell’Italia sui mercati e un deprezzamento dei titoli di Stato”.
Usciamo, però, ora dalle aule di tribunale. Il problema dell’ingerenza delle agenzie di rating è di natura essenzialmente politica. Questo processo, infatti, ha solo fatto venire a galla quello che molti avrebbero dovuto vedere. Vediamo perché. Nel 2011, Standard & Poor’s inizia ad declassare il nostro rating. Insomma, per l’agenzia statunitense i titoli del nostro debito pubblico perdevano di valore. L’Italia era una nazione inaffidabile. A quel punto, con la scusa di salvare l’Italia e l’Euro, la Banca Centrale Europea invia una lettera al nostro governo. Nella missiva, i solerti funzionari di Francoforte invitavano il Cavaliere a liberalizzare i servizi pubblici locali; a riformare i contratti di lavoro e dei licenziamenti e infine ad anticipare il pareggio di bilancio al 2013. Berlusconi, forse per paura che la febbre dei mercati contagiasse le sue aziende, si prodigò per assecondare i dettami della Bce. Questo, però, non bastò a salvare il suo governo. Arrivò, dunque, Mario Monti acclamato da tutti come il Salvatore della Patria. In realtà, l’Italia fu praticamente commissariata con la complicità di tutte le forze politiche. I risultati di questa scelta scellerata sono sotto gli occhi di tutti. Oggi, spread a parte, tutti gli indicatori economici sono nettamente peggiorati: Pil, debito pubblico, occupazione, inflazione, potere di acquisto. Se l’austerità ha prodotto risultati disastrosi la colpa va in primo luogo attribuita alla classe dirigente di allora.
C’è, però, un altro aspetto oscuro sul declassamento operato da Standard & Poor’s. A gennaio 2012, il Tesoro ristruttura cinque contratti derivati sottoscritti con Morgan Stanley in un accordo quadro del 1994. La banca d’affari americana è azionista della suddetta agenzia di rating. Anche qui non ci vuole un’inchiesta durata anni per capire quello che è successo. L’agenzia di rating declassa i titoli per farli comprare a prezzo di saldo al suo azionista. Gli analisti americani hanno solo obbedito al padrone di turno. Il vero colpevole è chi, da italiano, ha permesso che ciò avvenisse. I danni, infatti, furono notevoli. La chiusura del contratto con la banca statunitense costò all’Italia 3,4 miliardi di euro. Il governo di Mario Monti pagò “senza battere ciglio”. In fondo il professore bocconiano non poteva fare diversamente. Nel 1994 (quando furono sottoscritti questi contratti derivati) al governo c’era Carlo Azeglio Ciampi, il direttore generale del Tesoro era il nostro Mario Draghi. Chi condannerebbe l’operato di Ciampi e Draghi?
Il nemico era, ed è in casa. Lo ammette anche Standard & Poor’s. In una nota l’agenzia di rating ha precisato che: “Le nostre analisi sono state coerenti con le valutazioni pubblicate dalla Banca d’Italia e dalle maggiori istituzioni sovranazionali (Bce) “. Insomma, gli americani ci hanno anche sbeffeggiato. È come se ci avessero detto: chi è causa del suo mal pianga se stesso. Forse non hanno tutti i torti.
Salvatore Recupero