Roma, 4 giu – L’ennesima previsione rivista al ribasso. L’uscita dalla recessione si allontana. Al più, quest’anno si resterà in un limbo di stagnazione. E le proiezioni per gli anni futuri non si discostano dal tracciato.
Per quanto una cifra possa essere, anche solo psicologicamente, significativa, il tanto agognato traguardo dell’1% di crescita non verrà centrato. Le stime condotte all’epoca da Saccomanni vengono ridimensionate ad un modesto +0.7%. Sempre crescita è, ma insufficiente a dare fiato alle finanze pubbliche. Se infatti le previsioni di entrate ed uscite (le prime soprattutto) sono sovrastimate, l’effetto sui conti del ministero del Tesoro non lascia scampo. Ecco allora la necessità di manovre correttive, volte ad aggiustare un budget claudicante.
La via scelta per tentare di centrare gli obiettivi concordati con Bruxelles, da parte sua, non si allontana dal paradigma già seguito dagli esecutivi Monti prima e Letta poi. La ricetta si compone infatti di riforme e approcci più o meno concludenti alla riduzione del debito pubblico. «La crescita italiana è molto debole ed è indispensabile ridurre il debito pubblico. È arrivato il momento di fare sul serio le riforme strutturali», le parole del titolare del ministero dell’Economia Pier Carlo Padoan, che aggiunge: «Non si può continuare a ignorare la dimensione qualitativa delle riforme e fermarsi allo zero virgola».
Parole soppesate con attenzione, le quali tuttavia tradiscono un’incoerenza di fondo: non è infatti dato sapere come l’acritica e imperterrita applicazione di misure che hanno, al “meglio”, solo peggiorato la situazione, possa di nuovo rivelarsi utile per guadagnare faticosamente l’uscita dalla recessione ed il rientro nei parametri di Bruxelles, per quanto questi ultimi di dubbia validità. Le riforme insisteranno sui temi classici: lavoro anzitutto, con il decreto Poletti già in corsa.
La misura-chiave saranno, tuttavia, le ormai classiche privatizzazioni. Fincantieri troverà spazio in Borsa Italiana a partire da inizio luglio, mentre per Poste ed Enav si è in fase avanzata di studio per addivenire alla quotazione in breve termine. L’obiettivo lo spiega il ministro stesso: «Noi abbiamo messo nel Def una stima approssimativa dello 0,7% del Pil per i prossimi anni e riteniamo che quella cifra sia tuttora valida». Testuali parole: si raccolgono briciole per non più di una quindicina scarsa di miliardi e per risparmiare al massimo 500 milioni di interessi. Il tutto mentre gli ultimi documenti della Ragioneria generale dello Stato prevedono un incremento nella spesa per interessi sul debito fino a quota 100 miliardi nel 2015.
Filippo Burla