Roma, 17 dic – E se Telecom e Mediaset fossero state solo le prime mosse di una vera e propria campagna acquisti francese in Italia? E’ presto per dirlo, ma oltre alle due società delle telecomunicazioni e dell’informazione si fanno già i primi nomi di chi potrebbe essere messo nel mirino. E si tratta di nomi ‘pesanti’: sul tavolo ci sarebbero Unicredit ed addirittura Eni.
La banca di piazza Gae Aulenti, fra i primi gruppi in Italia, è alle prese da tempo con alcune difficoltà operative. A breve lancerà un aumento di capitale record da 13 miliardi, unitamente ad un piano da 6500 licenziamenti. Nel frattempo è stata venduta la polacca Banca Pekao, mentre ad inizio di questa settimana è passato di mano il colosso del risparmio gestito Pioneer Investments. Circostanza, quest’ultima, che ha acceso una spia gialla. L’acquirente, infatti, è la francese Amundi – gruppo Crédit Agricole, che in Italia controlla già la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza – che ha sborsato qualcosa come 3,5 miliardi di euro. Stando ai rumors di mercato non sarebbe però Crédit Agricole, bensì Société Génerale (settimana banca europea) la candidata per rilevare le quote, tutte o alcune, del fu Credito Italiano. A favore di questa tesi deporrebbe il fatto che l’amministratore delegato di Unicredit, Jean-Pierre Mustier, provenga proprio da Société Generale.
Diverso il discorso per quanto riguarda Eni, colosso del settore degli idrocarburi. Più che la colonizzazione economica, a far gola sono le sensazionali scoperte che la società non intende arrestare, avendo puntato non pochi investimenti proprio sulla ricerca di giacimenti. Intuizione – a differenza di altre compagnie, che hanno compensato con la finanza il calo dei proventi “da pozzo” – che ha permesso al gruppo fondato da Enrico Mattei di mettere a segno successi come quelli in Mozambico e in Egitto, oltre all’avvio del maxi-progetto di Kashagan dopo anni di ritardi. Secondo indiscrezioni raccolte da affaritaliani.it, pronta al tentativo di scalata ostile sarebbe la transalpina Total, forte della sua capitalizzazione di borsa pari a più del doppio di quella di Eni. Il cane a sei zampe avrebbe tuttavia una copertura non indifferente, data dalla presenza del governo nell’azionariato con il 30% e oltre delle azioni in mano pubblica. Nell’eventualità di una scalata ostile – al netto poi del golden power, versione però ridimensionata rispetto al precedente golden share – l’esecutivo avrebbe dunque gioco facile a bloccare le mire francesi. Ammesso però che un esecutivo ci sia, sia forte abbastanza e abbia la volontà di farlo.
Filippo Burla