Roma, 14 mag – Nel primo trimestre del 2016 il Pil italiano è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e dell’1% nei confronti del primo trimestre del 2015. L’esultanza del governo è durata poco. Subito sono arrivati altri dati assai negativi per la nostra economia. Infatti, l’Italia continua a rimanere fanalino di coda nonostante il misero segno più. Vediamo i numeri. Secondo la stima di Eurostat sia nella zona euro che nell’Ue il Pil è salito dello 0,5%, mentre nel trimestre precedente era salito rispettivamente di 0,3% e 0,4%. Su base annuale la crescita è stata di +1,5% e +1,7%.
Nella mattinata di ieri sono però arrivate altre brutte notizie per l’Italia: l’aumento del debito pubblico e della deflazione. Secondo il Bollettino Statistico della Banca d’Italia, il debito pubblico a marzo è salito di quattordici miliardi a 2.228,7 miliardi, toccando un nuovo massimo storico. Il record precedente risaliva al maggio del 2015 con i suoi 2.219,6 miliardi. L’indebitamento dell’Amministrazione centrale è cresciuto di 13,9 miliardi, mentre quello degli enti locali e di quelli di previdenza è rimasto complessivamente stabile. In sintesi, nei primi tre mesi dell’anno il debito è cresciuto di 58,8 miliardi (+50 miliardi nel primo trimestre del 2015), anche se al netto dell’aumento delle scorte di liquidità sarebbe salito di 24,5 miliardi (+17,4% al marzo 2015).
Il dato che preoccupa di più, però, è un altro. Diminuisce, infatti, la liquidità ricavata dal Tesoro sui mercati azionari. Purtroppo il quantitative easing non è servito ad aumentare la liquidità, in compenso ha fatto crollare il rendimento dei titoli di stato resi poco appetibili a causa del crollo della loro redditività. Un’anomalia già analizzata in passato. Circolano pochi soldi, dunque. E qui veniamo ad un altro dato negativo di ieri: la deflazione. Ad aprile, lo rileva l’Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo è sceso dello 0,1% su base mensile con una diminuzione su base annua dello 0,5% (stimata inizialmente a -0,4%), più ampia di quella registrata a marzo (-0,2%). La flessione è principalmente da attribuire all’accentuato calo dei prezzi dei beni energetici regolamentati (-6,4% da -2,7% del mese precedente) con particolare peso del gas naturale (-9,9% da -5,7% a marzo) e dell’energia elettrica, che segna addirittura un’inversione di tendenza (-1,9% da +1,5% del mese precedente).
L’abbassamento dei prezzi potrebbe essere positivo: si spende di meno, si compra di più. In realtà non è così che vanno le cose. La riduzione dei prezzi genera aspettative di una loro ulteriore flessione, imprese e famiglie hanno convenienza a posporre gli acquisti non indispensabili, contribuendo così ad accentuare il declino dell’attività economica e dei prezzi e a innescare una spirale deflazionistica. Così si spiega la dura presa di posizione del Codacons che, per bocca del suo presidente Carlo Rienzi, definisce la deflazione: “bestia nera dell’economia italiana, un nemico che allontana la ripresa definitiva del paese”. Rienzi, inoltre, ha accusato il governo di non aver adottato una sola misura negli ultimi mesi per spingere la ripresa dell’inflazione, incrementare la domanda interna e sostenere i consumi, nonostante gli allarmi lanciati a più riprese dall’Istat e dal Codacons. Al coro di critiche si è unita anche la Coldiretti che ha collegato il calo dei prezzi nel settore dell’agricoltura ai risultati. L’associazione ha denunciato valori al di sotto dei costi di produzione che spingono all’abbandono delle campagne e alla crisi dell’intero settore.
Ora qualcuno dovrà spiegare a Renzi che una rondine (+ 0.3 del Pil) non fa primavera.
Salvatore Recupero