Roma, 30 ott – A pochi mesi dal fallimento delle trattative con Renault, Fca è di nuovo alla ricerca di un partner. Senza per forza scomodare il mestiere più antico del mondo, la “signorina” ex Fiat guarda sempre oltralpe. Naufragate le prime nozze, ora l’avventura risponde al nome di Peugeot.
Il risiko del settore auto
Nel romanzo del lungo addio di Fca all’Italia si apre così un nuovo capitolo. L’ipotesi sul tavolo, aperto già da qualche tempo, è quella di una “fusione paritaria” tra le due storiche realtà dell’industria automobilistica. Come all’epoca per Renault, Fiat Chrysler e Peugeot starebbero ragionando sui profili di complementarietà delle loro produzioni. Da un lato il segmento medio-alto, nel quale la prima porta in dote Maserati ed Alfa Romeo. Dall’altro quello delle utilitarie, su cui la seconda ha più ampi margini. Nel mezzo, i mercati di riferimento: oltre che in Europa, Fca fa base anche in Nord America, dove invece Peugeot è pressoché inesistente. Discorso a parti invertite per quanto riguarda la Cina e l’Asia.
Fca – Peugeot: ma quale fusione paritaria
Se indubbi possono dunque essere i vantaggi – in un contesto, quello dell’automobile, da tempo in difficoltà e che punta dritto verso aggregazioni internazionali per sopravvivere – il tema diventa più spinoso dal punto di vista della politica industriale. E qui a soccombere rischia di essere l’Italia. Il punto attiene ai tecnicismi della fusione. La quale tutto sarà, tranne che paritaria.
Anzitutto per i numeri in campo: è vero che Fca fattura più di Peugeot, ma quest’ultima capitalizza in borsa oltre 25 miliardi, quasi 7 miliardi in più del gruppo di Torino (ma con sede legale in Olanda e fiscale in Gran Bretagna). Meglio non va dal punto di vista delle indiscrezioni sull’assetto gestionale, con i francesi accreditati della nomina dell’amministratore delegato mentre a Fca spetterebbe quella, spesso più simbolica che altro, del presidente. Insomma, anche fosse 50/50 sarebbe comunque chiaro chi comanderà realmente. E non potrebbe essere altrimenti: nell’azionariato di Peugeot, con il 12%, troviamo lo Stato francese, che in quanto a tutela delle proprie realtà industriali non ha mai fatto mistero di voler sempre imporre le sue visioni. Chiedere a Fincantieri per conferma.
Filippo Burla