Roma, 11 giu – Il reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle, costerebbe alle casse dello Stato almeno 15 miliardi l’anno. La stima giunge a seguito di uno studio condotto dall’Istat e comunicata in audizione alla Commissione Lavoro e previdenza sociale del Senato dal presidente dell’istituto, Giorgio Alleva.
La proposta dei grillini si articola in un sussidio da corrispondere a quasi 3 milioni di famiglie con reddito inferiore alla linea di povertà, con l’obiettivo di garantire il raggiungimento di almeno 9360 euro annui netti per un nucleo composto da una sola persona e a salire con l’aumento delle dimensioni della famiglia.
Secondo le proiezioni dei parlamentari grillini firmatari del disegno di legge 1148 dell’ottobre 2013, il costo originario doveva superare i 16 miliardi. Il risparmio è dovuto, spiega Alleva, al fatto che con il bonus Irpef degli 80 euro è cresciuto il reddito disponibile e questo si è tradotto in una (pur parziale) riduzione della platea dei potenziali beneficiari.
Decisamente più elevato invece il costo della proposta di reddito minimo garantito presentato dai senatori di Sel con il ddl 1670 del novembre 2014: circa 23 miliardi, stando sempre ai calcoli dell’Istat, per garantire 600 euro al mese a chi ha un reddito annuo non superiore ad 8000 euro.
Al di là delle valutazioni di merito sulle proposte il nodo è quello delle coperture. In tempi di ristrettezze di bilancio e senza la volontà politica (prima ancora che la possibilità fattuale) di spendere a disavanzo, trovare 15 miliardi -se ci limitiamo alla proposta del M5S, stante che quella dei vendoliani è estremamente vaga- non è affare da poco. Il disegno di legge grillino cerca di individuare alcune coperture, ma l’effetto è più comico che altro: si va dall’aumento della robin tax dichiarata incostituzionale a febbraio di quest’anno all’ennesimo taglio delle spese militari, che al di là della retorica pacifista sono in realtà un eccezionale volano di sviluppo – basti pensare agli investimenti nella cantieristica di cui la nostra Marina Militare avrebbe drammaticamente bisogno– in grado di attivare migliaia di posti di lavoro fra diretto e indotto, per arrivare alla soppressione di numerosi enti pubblici non economici e alla previsione di 4.5 miliardi di risparmi sugli acquisti di beni tramite centralizzazione immediata presso la Consip – senza tener conto che la centralizzazione sta già avvenendo, ma i tempi tecnici per l’attuazione sono nell’ordine degli anni.
Misure insomma generiche, non meglio precisate, senza indicare come far fronte all’origine a questi tagli o risparmi che, nella migliore delle ipotesi, sembrano campati per aria giusto al fine di raccogliere ad ogni costo l’euro in più o in meno necessario. E che, comunque sia, non rappresentano altro che un gioco dei vasi comunicanti con il risultato di sancire l’abdicazione dello Stato a farsi carico dell’occupazione, dei salari e dei diritti sociali.
Filippo Burla