Roma, 17 mar – «Ma, allora, abbiamo una banca?». Così, per la serie incredibile ma vero, Piero Fassino interrogava Giovanni Consorte. Era il 31 dicembre del 2005. Fassino, però, pensava all’orticello del suo partito. Oggi questa frase potrebbero pronunciarla tutti gli italiani. Spieghiamo meglio. È possibile avere una Banca Pubblica? A detta di molti economisti è pura follia. Eppur esiste questa possibilità. Basta far ricorso al famigerato Trattato di Maastricht, fondativo dell’Unione Europea. L’articolo 123 ci offre tale possibilità. A rammentarci questo piccolo dettaglio è stato l’avvocato Marco Della Luna. Come un novello Don Chisciotte sta pensando alla redazione di una denuncia alla Corte dei Conti per “danno erariale”. Secondo Della Luna: “Lo Stato italiano potrebbe così risparmiare circa 80 miliardi l’anno dando attuazione all’articolo 123 del Trattato sull’Unione Europea e che consente agli Stati dell’Eurozona di dotarsi di una banca statale e di usarla per finanziarsi presso la BCE ai tassi che questa pratica alle banche, cioè ora allo 0,25%”. Certo è difficile che qualcuno possa pagare per questa omissione.
Ma, certamente questo discorso ci pone davanti ad una difficile sfida. Creare una banca di credito speciale pubblica. Per qualcuno sarebbe una rondine che non fa primavera. Inserita, però, in un quadro organico di riforme del sistema bancario, darebbe i suoi frutti. Vediamo come. Due obiettivi su tutti: riacquisto progressivo e rapido dei titoli del debito pubblico in mano estera e l’utilizzo della Cassa Depositi e Prestiti come fondo sovrano per la politica economica ed industriale. In concreto, però, a cosa servirebbe una Banca Pubblica? Intanto a liberaci dal cappio della spesa degli interessi sul debito. La ragione di questa esplosione di spesa per interessi è che nel 1981 è caduto l’obbligo della Banca d’Italia di comprare titoli di debito pubblico calmierandone gli interessi. Lo Stato italiano è stato obbligato a farsi prestare denaro a costi di interessi dettati dal mercato finanziario estero, quando invece avrebbe potuto continuare a farsi finanziare a costo zero dalla Banca d’Italia. Il famoso spread nasce da qui. I titoli di stato, simbolo di un patto tra Stato e cittadini, in balia del mercato finanziario, diventano così dei prelibati bocconi in mano alla speculazione.
A questo proposito è doveroso citare Alberto Micalizzi, docente della Bocconi. “La proposta rivoluzionaria, che taglia le gambe alla speculazione e consente di cancellare gradualmente il debito pubblico – secondo Micalizzi – è quella di emettere moneta senza debito, ovvero moneta di Stato e monete complementari, come erano le 500 lire dei tempi di Aldo Moro. Se la moneta viene emessa da un ente privato e prestata alla popolazione che per usarla deve indebitarsi e pagare interessi e se la quantità di moneta non è funzionale alla crescita economica allora non c’è Lira che tenga, rimarremo dove siamo”. Uscire dall’Euro non basta, non serve. Si può, si deve essere rivoluzionari ma non visionari. Ossia, dobbiamo fare sempre i conti con la mutevole realtà.
Lo Stato italiano può nazionalizzare una Banca, la quale acceda alla liquidità della BCE e finanzi il suo debito ad un tasso di interesse appena superiore a quello applicato dalla BCE stessa e in ogni caso sempre molto inferiore a quello di mercato, che va ricordato è attualmente superiore del 3% all’inflazione. L’Italia, in questo modo, potrebbe ridurre le tasse in modo sostanziale e tornare ad essere un paese che investe in aziende di interesse strategico. Come fanno altri Paesi europei. In realtà, un governo competente e che abbia a cuore gli interessi degli italiani può muoversi anche all’interno dei trattati europei. Il nostro destino, insomma, è nelle nostre mani. Inutile addossare ad altri la colpa. Ma possiamo farcela ad uscire dal guado senza chiedere l’elemosina a nessuno? Nihil difficile volenti.
Salvatore Recupero