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La priorità del comune di Roma? Svendere la proprietà di Atac ai cinesi

by Filippo Burla
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atac logoRoma, 9 dic – La decisione di dimettersi o meno dal più alto scranno del Campidoglio può attendere, l’eventuale rimpasto di giunta anche. La trattativa con l’estremo oriente per il trasporto pubblico della capitale, invece, sembra proprio di no.

Atac, l’azienda comunale dei trasporti, naviga in cattive acque da tempo. Prima “Parentopoli”, poi lo scandalo del buco dei biglietti che costa alle casse almeno 80 milioni l’anno. Infine le aggressioni agli autisti e, sullo sfondo, gli atavici problemi di traffico, congestione e vetustà dei mezzi. Tanto basta per dover prendere decisioni ormai indifferibili: si parla della necessità di sostituire almeno 700 bus sull’attuale dotazione di 2.085.

«A noi interessa sviluppare partnership internazionali perchè l’importante è rilanciare Roma come meta di collaborazioni industriali di livello mondiale», ha affermato Guido Improta, assessore ai trasporti della capitale. Il piano prevede che, per la sostituzione degli autobus, si passi attraverso formule di leasing. Il destinatario della proposta? «Siamo in trattative con dei partner cinesi».

La trattativa non sembra, però, fermarsi al solo rinnovo del parco macchine. Un ulteriore filone riguarda infatti anche l’assetto proprietario dell’azienda. Oltre al finanziere francese Vincent Bolloré non ci sono ancora nomi, ma Improta ha spiegato come i cinesi siano «interessati anche al perimetro industriale di Atac». I tempi sono ancora immaturi per la privatizzazione, che non si concluderà nel breve termine. Una condizione è però già stata individuata, ed è sempre l’assessore a metterla nero su bianco: «Tutte le operazioni sul capitale si faranno quando Atac sarà in pareggio economico. Il fatto che sono interessati va comunque a migliorare il ranking dell’azienda e conferire credibilità e valore ad Atac».

Risanamento sulle spalle pubbliche e utili consegnati ai privati. Il più banale degli schemi, l’ormai classica scelta di non avere una politica industriale.

Filippo Burla

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