Roma, 12 feb – Niente da fare. Quando si tratta di previsioni, almeno dal 2008 ad oggi, non se ne azzecca una. E i dati a consuntivo sono sempre peggiori di quanto preventivato ad inizio anno. Vale per tutti gli indicatori, ma soprattutto per il Pil. L’uscita dalla crisi, il grande tunnel nel quale siamo entrati trascinati dalla crisi dei subprime, è sempre vicina, dicono. Il che può anche essere, ma a fronte dei nostri progressi questa galleria sembra allungarsi sempre di più. Perché sì, di progressi ce ne sono: il segno ormai è positivo, indubbiamente. Ma siamo, d’altra parte, sempre nel regno dello zerovirgola, abbastanza per parlare di (mini)ripresa ma insufficiente per mettere la tanto agognata crescita all’ordine del giorno.
Il 2015, secondo le stime istat Istat appena pubblicate, non fa eccezione. Offrendo peraltro un quadro in peggioramento. Perché è vero che tutti i trimestri sono stati in territorio positivo, ma si passa dal Pil a +0.3% del primo, al +0.2% del secondo e terzo, fino al +0.1% degli ultimi tre mesi. Una frenata lenta ma costante, tanto che il risultato complessivo dell’anno appena concluso segna un Pil a + 0.6%. Siamo ben lontani dalle previsioni del governo che puntava a +0.9% – strizzando l’occhiolino alla cifra tonda +1% – ma anche a quelle di Ocse e Fmi, che parlavano di +0.8%. Non ingannino le modeste cifre: si tratta di errori nell’ordine del 25/30% del valore.
Oltre alla frenata registrata lungo lo svolgersi dell’anno, preoccupa anche la dinamica di medio periodo: “La variazione congiunturale è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell’industria e di aumenti in quelli dell’agricoltura e dei servizi. Dal lato della domanda, vi è un contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte), più che compensato dall’apporto positivo della componente estera netta”, spiegano dall’Istat. Segno che la manifattura non riesce a risalire la china, mentre la domanda interna è ancora ferma al palo senza riuscire ad essere compensata da quella estera. Miracoli dell’austerità e della svalutazione interna.
Filippo Burla