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Perché gli economisti non sono mai d’accordo su nulla

by Claudio Freschi
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Un vecchio detto popolare sostiene che, mettendo cinque economisti in una stanza a discutere di un dato tema, ne usciranno sei opinioni diverse. Ronald Reagan diceva invece che, se il gioco Trivial Pursuit fosse stato creato dagli studiosi di economia, avrebbe cento domande e tremila risposte.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di febbraio 2023

Probabilmente la cattiva reputazione degli economisti, spesso meritata, deriva dal fatto che nessuno capisce davvero di che cosa si occupino. E sinceramente la materia è talmente noiosa e complessa che si ha davvero poca voglia di approfondire. Il loro lavoro consiste nell’esaminare miliardi di dati, sistemi composti da innumerevoli parti in continuo movimento e in stretta relazione tra loro, e provare a dare un senso ai loro studi. Con la consapevolezza che il massimo che potranno ottenere sarà una risposta vaga alle loro domande, un’ipotesi plausibile ma tutt’altro che certa da dare in pasto al politico di turno.

Gli economisti non sono matematici

Le teorie economiche e le relative scuole di pensiero sono innumerevoli, e anche all’interno di ognuna di esse non vi è mai una perfetta omogeneità di vedute. Questo sarebbe già un buon motivo per disinteressarsi completamente dell’argomento. Ma come diceva la grandissima Joan Robinson – una delle più grandi economiste della storia – «lo scopo dello studio dell’economia non è quello di acquisire una serie di risposte già pronte a domande sul tema, ma di imparare come evitare di essere ingannati dagli economisti».

Leggi anche: Perché gli economisti non azzeccano mai una previsione

Prendiamo ad esempio la politica fiscale, un argomento decisamente importante. Ebbene, il dibattito tra gli economisti non riguarda qualche dettaglio, ma proprio la direzione delle conseguenze di tali politiche. Chi ha una formazione keynesiana, come il sottoscritto, è convinto dell’efficacia dello stimolo fiscale, ovvero che ogni euro aggiuntivo che uno Stato spende provocherà un incremento maggiore di un euro per l’economia. Il famoso moltiplicatore keynesiano. Se, ad esempio, uno Stato decide di intraprendere un’opera pubblica per sostenere l’occupazione, è lecito aspettarsi che il reddito percepito dai lavoratori sia speso in beni di consumo, creando a sua volta altro reddito – e in ultima analisi ulteriore occupazione – per le imprese produttrici di tali beni. Queste imprese, a loro volta, attraverso lo stesso meccanismo, creeranno altro reddito e così via. Di contro, un liberista, un seguace del mercato e del laissez faire afferma che ogni euro di spesa pubblica comporterà un impoverimento dell’economia nel suo complesso, in quanto sarebbe stato speso in maniera sicuramente più efficiente dal settore privato. Nonostante innumerevoli diatribe e quintali di studi accademici, non si è ancora giunti a una risposta univoca sull’impatto della…

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