Roma, 16 gen – Che le mega fusioni industriali, in tempi di globalizzazione e finanza apolide, non portino mai buone notizie in tema di occupazione e rispetto delle comunità locali è ormai tristemente assodato. Certo però che, in una Germania già alle prese con una congiuntura economica non esaltante, l’annuncio del taglio di 4.100 dipendenti da parte di Opel è davvero un brutto colpo, quantomeno a livello simbolico e sintomatico. Il marchio automobilistico tedesco è passato nel marzo 2017 dal gruppo General Motors ai francesi di Psa (Peugeot, Citroën, Ds) per 1,3 miliardi di euro nell’ambito di un’operazione da complessivi 2,2 miliardi di euro che ha coinvolto anche il gemello Vauxhall, riservato al mercato britannico. A sua volta Psa ha appena perfezionato la fusione con Fca, il colosso nato dall’unione tra Fiat e Chrysler, secondo la nota strategia transazionale di Sergio Marchionne, autentico simbolo del fenomeno.
Una brutta botta soprattutto se si pensa che il passaggio di Opel al gruppo francese aveva già causato la perdita di circa 7.000 posti di lavoro tra i tedeschi. La scure si abbatterà nuovamente sulle tute blu degli stabilimenti di Ruesselsheim, Eisenach e Kaiserslautern (2.100 entro il 2025, il resto entro il 2029). Fa impressione pensare che nel 2017 la casa del fulmine contava 19.000 dipendenti e che in poco più di 10 anni ne avrà meno della metà.
I rischi per i lavoratori italiani
Una mattanza che rischia di non essere soltanto un affare tedesco. Diversi analisti non escludono affatto, anzi, che in tema di occupazione, l’unione tra il gigante transalpino e gli Elkann possa fare danni anche da noi. I fattori che preoccupano sono più di uno: i grandi investimenti sulle motorizzazioni elettriche da parte dei francesi che penalizzano invece i produttori italiani, il fatto che il nuovo gruppo punterà in gran parte su due piattaforme targate Psa e da cui nasceranno i modelli Jeep, Alfa Romeo e – ipotizza qualcuno – anche la nuova Fiat Punto. Altrettanto determinante potrebbe essere la questione della produttività e del tasso di utilizzo degli impianti. In questo campo il gruppo Peugeot ha parametri molto ambiziosi e vincolanti, mentre Fca in Italia arranca nonostante gli impegni assunti. Le conseguenze di tutto ciò avrebbero la forma di ulteriori ridimensionamenti e nuovi tagli per gli stabilimenti dello Stivale.
Scenari a tinte fosche che stridono alquanto con il clamoroso “regalo di nozze” per le società “italiane” protagoniste del matrimonio industriale, cioè Exor, la controllata di casa Agnelli (primo azionista del nuovo colosso transoceanico dell’automobile col 14,5%) e l’olandese Giovanni Agnelli Bv, che, tra cedole e premio, con la fusione portano a casa rispettivamente 3,9 e 2 miliardi di euro. Li reinvestiranno sul nostro suolo? “Faccine” a piacimento come risposta.
Fabio Pasini
5 comments
L’ olandese Giovanni Agnelli Bv…? Non vogliono più chiamarsi olandesi! Paesi bassi…, tocchiamoci i cogl…i!
Uno dei motivi per cui spingono l elettrico è proprio perché serve meno manodopera. Mica perché inquina meno. Sai che gli fotte a quelli
La maledizione della 3 generazione ha colpito anche gli agnelli. Il nonno senatore ha iniziato il “babbo” Giovanni l’avvocato, ha mantenuto, il nipote Elkann ha venduto. Viva i soldi!!!
E’ la cosiddetta industria 4.0 ad aver bisogno di manodopera oltre a queste fusioni che sembrano solo che accorpamenti e riduzione ai minimi termini.
Aggiungendo che il settore auto ormai è stato invaso dalla concorrenza asiatica che prima,ai tempi d’oro dell’automobile non esisteva e le uniche auto di produzione asiatica erano quelle giapponesi,ma viste come dei dischi volanti.
La Opel è stata acquistata, da PSA mentre questa è una nuova società,ci saranno tanti cambiamenti sicuramente, però, considerando la scarsa produttività delle attuali fabbriche FCA in Italia, con un aumento di nuovi modelli grazie alle sinergie industriali del gruppo la produzione e quindi l’occupazione aumenterà sicuramente.