Roma, 5 lug – C’eravamo tanto amati, fra le magnifiche sorti e progressive del libero mercato. Poi il caos dell’anarchia “market made” – concedeteci l’uso della lingua d’albione visto che siamo in tema di dottrine anglosassoni – ha fatto sì che, alla fine, ritorna sempre lui, implacabile quando si tratta di crisi (e quella di Mps la è, eccome): lo Stato. Perché sì, possiamo stare a disquisire di teoria e di accademia quanto si vuole, di trattati e clausole, d libera circolazione e mercato unico, ma nel momento in cui i nodi vengono al pettine serve sempre che mamma Stato intervenga.
Il mercato fallisce? Altro che fallimento, la storia di Mps degli ultimi tempi è una deflagrazione. Fra miliardi bruciati, il controllo in mano alle cosche del Pd locali e nazionali, una gestione dissennata delle finanze dell’istituto, le ricapitalizzazioni da 5 e 3 miliardi in rapida sequenza tra il 2014 e il 2015, lo storico istituto senese si può ancora considerare una banca? Le sofferenze sui crediti sono a quota 47 miliardi, valore che la Bce chiede di ridurre a 32 miliardi entro il 2018. I casi sono due: o Mps riesce a recuperarli tutti o svaluta. Scartata la prima ipotesi (se sono diventati crediti in sofferenza ci sarà un motivo), l’unica strada rimane la seconda. Peccato che il mercato – sì, ancora lui – valuti i crediti di dubbia o difficile realizzazione al 20% del loro valore, costringendo quindi la banca ad un aggiustamento di bilancio potenzialmente devastante. Mps necessiterebbe allora di un ulteriore aumento di capitale, che si presume non avrà però lo stesso “successo” dei precedenti: a che pro continuare a gettar soldi in una struttura praticamente decotta? E non si scomodi la scusa della Brexit, dato che gli effetti speculativi del post-referendum sono già stati assorbiti e, soprattutto, il mancato rimborso dei prestiti alla banca non ha nulla a che vedere con la scelta fatta da Londra due settimane fa.
Il problema – e da Bruxelles, dove tutelano il mercato più dei posti di lavoro e delle persone, lo sanno benissimo – è che una banca è un soggetto sistemico, la cui crisi può avere effetti a catena e ripercussioni non solo in Italia ma in Europa tutta. Si veda alla voce bail-in e i danni causati in termini di fiducia. E’ per questo che affidare al mercato la soluzione dei problemi di Mps non è una via percorribile: fosse così, Montepaschi sarebbe già un ricordo della storia bancaria italiana. Ecco allora che l’ingresso dello Stato, peraltro già azionista con una quota superiore al 4% causa mancato rimborso di alcuni Monti-bond, si profila come l’ultima soluzione possibile per salvare gli oltre 540 anni di storia dell’istituto. A patto, però, che non sia l’ennesimo “paga pantalone”: la strategia per cui il pubblico – e cioé i lavoratori, i contribuenti, i pensionati – arrivano nel momento del bisogno, ripianano alcune perdite e risanano i conti, per poi cedere di nuovo il tutto in pasto al mercato e ai suoi divertimenti.
Ammesso che – e qui viene il bello – l’Ue non decida per lo scontro frontale con l’Italia, utilizzando la scusa degli aiuti di Stato per un’azione ad ampio raggio: la troika vigila ed è sempre in agguato, ad un passo dall’intervento, pronta ad essere accolta da schiere di sicofanti.
Filippo Burla