Roma, 16 ott – Ieri il governo ha deciso di affrontare il nodo delle pensioni. Palazzo Chigi ha approvato la legge di Stabilità 2017 con all’interno un pacchetto di misure sulla previdenza che vale sette miliardi nel prossimo triennio (1,9 nel 2017, 2,5 nel 2018 e 2,6 nel 2019) contro i sei miliardi annunciati alla vigilia. Quest’anno, dunque, la befana è arrivata in anticipo. Ricchi premi e cotillons. Andiamo con ordine limitandoci ad elencare le misure prese dall’esecutivo.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi durante la conferenza stampa ha promesso: l’incremento della quattordicesima per le pensioni più basse e l’anticipo pensionistico per i lavoratori che hanno compiuto sessantatré anni di età. I telegiornali a reti unificate hanno trasmesso il miracolo della moltiplicazione delle pensioni e dei pensionati. Il tempo però, si sa, in televisione è tiranno. Per questo Renzi ha dimenticato qualche dettaglio. Vediamo quale. Nelle diapositive non abbiamo letto nulla sui punti concordati con i sindacati nel vertice dello scorso ventotto settembre. Ad esempio, non si parla del cumulo gratuito dei periodi assicurativi per i lavoratori con carriere discontinue, del miglioramento del decreto legislativo 67/2011 per agevolare le uscite dei lavoratori impiegati in mansioni usuranti, dell’uscita a quarantuno anni di contributi per alcune categorie di lavoratori precoci. Forse ci penserà il parlamento a colmare queste lacune. Rimane, però, il dubbio che Renzi non terrà fede alla parola data. Difatti, venerdì scorso Tommaso Nannicini, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha stravolto l’accordo governo-parti sociali. Facciamo un passo indietro. Il ventotto settembre scorso nella bozza firmata dall’esecutivo e dai sindacati compariva il riferimento ai venti anni di contributi per beneficiare dell’Ape agevolata, esattamente come per le pensioni di vecchiaia. Due settimane dopo Palazzo Chigi stabilisce per accedere all’Ape sono necessari trentasei anni di contributi versati per chi ha svolto lavori gravosi e trenta anni per altre tre categorie beneficiarie (disoccupati, inabili al lavoro o con disabile in famiglia). Vanna Marchi, in confronto era una dilettante.
Per capire la gravità di questo cambiamento di rotta, è bene capire cosa si cela dietro alcuni astrusi acronimi. L’Ape, per esempio, (acronimo che sta per Anticipo pensionistico) è il progetto sperimentale del Governo per consentire, dal 2017, a chi ha raggiunto almeno i sessantatré anni di età di andare in anticipo in pensione. L’operazione sarà attuata con prestiti da parte di banche e assicurazioni erogati però attraverso l’Inps, che dovranno poi essere restituiti con rate di ammortamento costanti dagli interessati, una volta conseguita la pensione con un prelievo che durerà venti anni. In sostanza, questi lavoratori potranno ottenere una somma economica esente da imposizione fiscale erogata mensilmente per dodici mesi sino al raggiungimento dell’età di vecchiaia. Somma che poi dovranno restituire, a partire dalla data di pensionamento, sino al completo rimborso del capitale e degli interessi alle banche che hanno fornito la “provvista” per l’anticipo. In pratica, per andare qualche anno prima in pensione il lavoratore dovrà accollarsi un mutuo ventennale. Come direbbe il Padrino, un’offerta che non si può rifiutare. Ovviamente, questa è una scelta che rientra nella discrezionalità del pensionando. Ci mancherebbe altro! In caso contrario, si tratterebbe di estorsione. Renzi, però è buono per definizione, è un boy scout. Per questo ha pensato di indorare la pillola. Alcune categorie rischiavano, infatti, di avere un depauperamento della loro pensione pari un valore compreso tra il 4,5 ed il 6,9% per ogni anno di anticipo. Per attutire questo effetto sono previsti bonus fiscali aggiuntivi o trasferimenti monetari diretti, volti a garantire un “reddito ponte” interamente a carico dello Stato per un ammontare prefissato (ferma restando la facoltà dell’individuo di richiedere una somma maggiore). A questi soggetti lo Stato, in sostanza, ripagherà interamente (o quasi) l’anticipo fiscalizzando gli oneri di restituzione del prestito e prevedendo, ove necessario, trasferimenti economici diretti. In pratica, se un muratore va in pensione in anticipo, l’intera collettività pagherà alle banche l’Ape social dell’operaio edile. Chi lavora nei cantieri, però, ha poco da gioire: deve avere trentasei anni di contributi per aver diritto all’anticipo della pensione. Nell’edilizia, come in altri settori, per cumulare sette lustri di contribuzione regolare all’Inps bisogna lavorare almeno mezzo secolo. Quindi, nonostante le riforme di Renzi, vedremo ancora arzilli settantenni sull’impalcature. Ecco il vero volto dell’Ape sociale e del welfare 2.0.
Recupero Salvatore