Roma, 31 gen – Il 2016 si chiude, come da previsioni, con nessuna notizia di sensibile miglioramento sul fronte del lavoro. A segnalarlo è l’Istat, che nel suo bollettino periodico evidenzia anzi un peggioramento delle condizioni di occupati e disoccupati, con la disoccupazione giovanile di nuovo in rialzo.
Stabili gli occupati, con il relativo tasso fermo al 57,3%. Tornano invece a salire i disoccupati, in aumento su base mensile (+0,3%), con il tasso di disoccupazione che si colloca al 12%. Peggio fa la disoccupazione giovanile: a novembre era calata al di sotto della soglia psicologica del 40%, ora risale facendo segnare 40,1%.
A quasi tre anni dal varo del Jobs Act, siamo punto e a capo. A dicembre 2013 (pochi mesi prima del varo della riforma) la disoccupazione si attestava al 12,5%, quella giovanile al 42,4. Nel periodo intercorso, fra alti e bassi il primo indicatore è calato fino ad un minimo di 11,5 punti, il secondo a quota 38, entrambi nel corso del 2015: segno che, più che la riforma dell’articolo 18 hanno fatto gli incentivi, venuti meno i quali la situazione è fisiologicamente tornata ai nastri di partenza. Non sono bastate le rassicurazioni di Renzi prima, Gentiloni dopo e Poletti prima e dopo: senza una ripresa forte e robusta le aziende continueranno a non assumere, a prescindere dalla libertà di poter licenziare o meno. E, nel frattempo, per inseguire questa falsa strada abbiamo perso tre anni dietro alla riforma dell’ex presidente Legacoop, un giochetto costato miliardi per riassorbire mezzo punto di disoccupazione. Ne è valsa la pena?
Filippo Burla