Roma, 23 ott – Pechino cala l’asso. E’ notizia di ieri che la banca centrale cinese ha acquisito una partecipazione in Mediobanca. L’ingresso nell’azionariato dell’istituto milanese è avvenuto a metà mese, ma solo adesso emerge dal sito della Consob che la partecipazione è da considerarsi rilevante, quindi soggetta a pubblicità, in quanto supera il 2% del capitale sociale.
L’intervento di People’s Bank of China va ad inquadrarsi nell’ambito degli accordi Italia-Cina siglati il 14 ottobre, giorno della visita ufficiale del primo ministro Li Keqiang. In quell’occasione sono stati firmati tredici accordi commerciali per complessivi otto miliardi di euro.
Non si tratta della prima operazione di rilievo condotta dalle autorità cinesi. Prima di Mediobanca, Pechino si era già assicurata nella scorsa primavera partecipazioni importanti in Eni ed Enel. In agosto è stata poi la volta di Telecom Italia, Prysmian, Fiat e Generali. Al di fuori (relativamente) del mercato di borsa non va poi dimenticato l’acquisto, da parte di State Grid Corporation, del 35% di Cdp Reti, società in orbita Cassa Depositi e Prestiti che detiene le partecipazioni statali nei metanodotti di Snam e nelle linee elettriche in quota Terna.
L’ingresso in Mediobanca non assume, in termini di valore assoluto, un gran ruolo. Si tratta infatti di un investimento di 110 milioni di euro. Poco se confrontato al suddetto acquisto della quota Cdp Reti, per il quale la cifra sborsata dal gigante asiatico fu di 2 miliardi, venti volte tanto. Eppure, assume una rilevanza simbolica di primo piano. Mediobanca rappresenta(va) infatti il “salotto buono” per eccellenza del capitalismo italiano. Sotto controllo pubblico ed affidata storicamente ad Enrico Cuccia, fu uno degli snodi fondamentali attorno a cui si sviluppò l’industria nazionale, che raggiunse il proprio apice alla fine degli anni ’80. Quando, per esempio, nel 1987 il prodotto interno lordo italiano superò quello della pur tradizionalmente forte economia manifatturiera inglese.
Poco tempo dopo arrivò la privatizzazione e, negli ultimi anni, la riconversione da banca d’investimento a banca universale. Fino ad oggi, con l’ingresso di Pechino. «C’è ancora tanto spazio per investire in entrambe le direzioni #italiariparte», ha cinguettato Matteo Renzi. #italiasvendesi, semmai.
Filippo Burla