Roma, 10 set – Il jobs act è un flop, a dirlo sono i licenziamenti. Ieri è arrivata l’ennesima conferma. Nel secondo trimestre del 2016, infatti, le attivazioni di contratti a tempo indeterminato sono state 392.043, il 29,4% in meno rispetto all’anno scorso (-163.099). Lo rileva il ministero del Lavoro con le comunicazioni obbligatorie appena pubblicato dal ministero del Lavoro. Il dato non smentisce l’ultimo rapporto Osservatorio dell’Inps sul precariato. Secondo l’Inps: “Nel primo semestre del 2016 (da quando si sono drasticamente ridotti gli incentivi governativi), i nuovi rapporti di lavoro stipulati nel settore privato sono stati pari a due milioni e 572mila unità, in calo del 10,5% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente”. “La diminuzione – spiega l’ente previdenziale – è dovuta soprattutto al calo dei contratti a tempo indeterminato, in flessione del 33,4% rispetto ai primi sei mesi del 2015 (-326mila unità)”. La notizia era stata data su questo sito il 31 agosto scorso.
Torniamo ai dati del ministero del Lavoro analizzando il rapporto tra cessazioni e attivazioni. Nel secondo trimestre del 2016 sono state registrate 2,45 milioni di attivazioni di contratti nel complesso a fronte di 2,19 milioni di cessazioni. La maggioranza delle cessazioni sono dovute al termine del contratto a tempo determinato (1,43 milioni). Tra i licenziamenti sono aumentate quelle promosse dal datore di lavoro (+8,1%) mentre si sono ridotte quelle chieste dal lavoratore (-24,9%). In particolare sono aumentati i licenziamenti (+7,4% sul secondo trimestre 2016). Nel periodo i licenziamenti sono stati infatti 221.186, 15.264 in più rispetto al secondo trimestre 2015. Sono invece diminuite le chiusure di contratto dovute alla cessazione dell’attività del datore di lavoro (-10,3%). Come si vede il jobs act nel medio periodo si è rivelato assai inefficace. Matteo Renzi non è riuscito a cambiare verso. Inoltre, anche durante il boom del 2015 l’Italia era fanalino di coda per la disoccupazione giovanile. A rivelarlo è una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro. Secondo questo studio: “Dal 2007 al 2015 la disoccupazione giovanile in Italia è aumentata di 17,4 punti percentuali, passando dal 21,4% (ultimo trimestre 2007) al 38,8% (ultimo trimestre 2015). Nello stesso periodo di tempo la categoria dei Neet, i giovani non occupati che non frequentano né scuole né corsi di formazione, è inoltre cresciuta di 7,4 punti percentuali (passando dal 19,5% al 26,9%)”. Il confronto con gli altri paesi europei è impietoso. Osservando i dati Ocse, inoltre, si scopre infatti che nella classifica siamo il Paese dell’UE con il più alto tasso di inattività giovanile per quanto riguarda l’anno 2015. Se poi guardiamo ai dati della disoccupazione giovanile, peggio di noi hanno fatto solo Spagna (+27,4 punti percentuali, passata dal 19% al 46,4%) e Grecia (+26,5 punti, passata dal 22% al 48,5%).
Questi dati sono un’altra dimostrazione, qualora ce ne fosse bisogno, che con il jobs act non solo non fa aumentare l’occupazione ma indebolisce inutilmente i diritti dei neo assunti.
Salvatore Recupero