Roma, 6 giu – Il tasso di disoccupazione è indicatore di cruciale importanza, rilevando le forze disponibili a lavorare ma che non riescono a trovare un impiego. E qui sta il suo limite: in periodi di crisi, di licenziamenti, di riduzione del personale, il “semplice” tasso di disoccupazione non è di per sé sufficiente a spiegare l’andamento della congiuntura.
Stando alle ultime rilevazioni trimestrali condotte dall’Istat sul lavoro, continua a crescere il numero di occupati su base annua (+0.3%) e scende al 13% il tasso di disoccupazione, seppur con elevati divari territoriali: si va dal 9% medio del settentrione a oltre il 20% nelle regioni del sud.
Le cifre nascondono però una realtà, quella di coloro che, pur essendo disponibili a lavorare, non cercano attivamente un’occupazione. Sono 3.5 milioni, quasi metà dei quali (1.6 milioni) non lo fanno perché scoraggiati. Complessivamente le persone senza occupazione ma disponibili sono quasi sette milioni, in aumento . Di questi 7 milioni quasi la metà ha meno di 35 anni, a sottolineare come nonostante la timida riduzione della disoccupazione giovanile il problema sia ancora ampio. Questo perché il tasso disoccupazione è dato dal rapporto fra le persone in cerca di lavoro e la forza lavoro: se si riduce il numeratore (per via degli scoraggiati) allora il tasso diminuisce automaticamente, ma è un calo del tutto statistico e che non trova riscontri nella realtà. Prova ne sia che ormai il numero dei disoccupati nella fascia 15-34 anni è pressoché pari a quello degli scoraggiati, 1.6 contro 1.4 milioni.
Filippo Burla