Roma, 12 ago – L’economia italiana è ancora in affanno. A dirlo sono i dati forniti dall’Istat ma non solo. Andiamo con ordine. Cominciamo riportando i dati dell’ultima nota dell’Istat sul commercio con l’estero: “A giugno 2016 le esportazioni registrano un lieve calo congiunturale (-0,4%) mentre le importazioni risultano stazionarie”. Lo stesso rapporto ci dice che: “La lieve flessione congiunturale dell’export è la sintesi di un calo delle vendite verso i mercati Ue (-0,9%) e di un aumento di quelle verso i paesi extra Ue (+0,3%). I beni di consumo (-1,3%) e i beni intermedi (-1,2%) sono in diminuzione, mentre i prodotti energetici (+4,7%) e i beni strumentali (+0,8%) risultano in crescita”. Se questo dato non basta, sempre nella giornata di ieri l’Istat ha stilato il suo rapporto sull’indice dei prezzi al consumo per il mese di luglio 2016. Anche in questa nota sono pochi i dati incoraggianti: “Nel mese di luglio 2016, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,2% su base mensile e una diminuzione dello 0,1% su base annua (era -0,4% a giugno), così come risultava dalla stima preliminare”. Certo, il dato dell’inflazione acquisita per il 2016 che è pari a -0,1% (era -0,2% a giugno). Ma, è una magra consolazione. Visto che come rileva lo stesso Istituto Nazionale di Statistica: “L’aumento dell’indice generale dei prezzi al consumo rispetto a giugno è dovuto principalmente a fattori stagionali che determinano la crescita congiunturale dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (+2,5%) e dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,7%)”. Insomma, quando andiamo in ferie ci togliamo qualche soddisfazione in più.
I dati di ieri, però non giungono come un fulmine a ciel sereno. Il sei agosto su questo sito veniva riportato il calo della produzione industriale (-0,4%) rispetto a maggio. Purtroppo, però, i mali dell’economia italiana non sono solo rappresentati dai decimali dell’Istat. Infatti, i due fardelli più pesanti per le nostre imprese sono rappresentati dal fisco, e dal credit crunch. Cominciamo dalle tasse. Crescono le entrate tributarie erariali nel periodo gennaio-giugno 2016. Nei primi sei mesi ammontano a 203,5 miliardi di euro, in aumento del 4,3% (+ 8,4 miliardi) rispetto allo stesso periodo del 2015. Forniamo solo qualche dato. Secondo le rilevazioni del ministero dell’Economia, il gettito derivante dalle imposte dirette sale a 111,7 miliardi, con un incremento del 4,6%. In crescita anche l’incasso legato alle imposte indirette, che arriva a 91,8 miliardi (+3,9%), con l’Iva che raggiunge i 53,7 miliardi. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno si registra un incremento di 4,2 miliardi (+8,5%).
E dulcis in fundo, c’è il problema della stretta creditizia. La Cgia di Mestre stima che nell’ultimo anno (maggio 2016 sullo stesso mese del 2015) gli impieghi bancari alle imprese sono diminuiti di 13,8 miliardi di euro. Inoltre, gli artigiani di Mestre sottolineano che se prendiamo come riferimento il 2011 il calo degli impieghi bancari è pari a centodiciassette miliardi di euro. Questa situazione rischia di alimentare l’usura: uno dei fenomeni più destabilizzanti del nostro tessuto produttivo dal punto di vista economico e sociale. Secondo il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo: “Oltre agli effetti della crisi economica e al calo della domanda di credito questa forte riduzione degli impieghi è stata dovuta anche al deciso aumento delle sofferenze bancarie che a giugno di quest’anno hanno sfiorato i 198 miliardi di euro lordi”.
Detto ciò è fin troppo scontato dire che l’Italia riparte ingranando la retromarcia.
Salvatore Recupero