Taranto, 8 gen – L’Ilva è, già da qualche giorno, in vendita. E scatta il mercato: chi se la comprerà? A parte il già noto nome della lussemburghese Arcelor Mittal (del magnate indiano Lakshmi Mittal), la quale deve però ancora sciogliere le riserve relative all’Autorizzazione integrata ambientale, si segnala come ultimo arrivato il colosso coreano Posco. Si tratta tuttavia, per il momento, solo di voci di corridoio, anche se emissari degli asiatici sarebbero stati avvistati negli uffici del ministero dello Sviluppo. La vera novità, tuttavia, è il nome di Paolo Scaroni. L’ex amministratore delegato di Eni, attualmente vicepresidente della sede di Londra della banca Rotschild, sarebbe infatti corteggiato dal governo per fare da aggregatore per una cordata nazionale.
Scaroni dovrebbe fungere da coagulante fra più soggetti, che si riunirebbero sotto la benedizione – e l’impegno finanziario – della Cassa Depositi e Prestiti per rilevare l’Ilva. Con il risultato di mantenere il siderurgico tarantino in mani nazionali, per quel che può valere – la gestione Riva è bastata. La via che porta a Scaroni è tuttavia, per il momento, solo un’ipotesi. Molto suggestiva, visti i più che lusinghieri risultati ottenuti dal dirigente vicentino quando era alla guida dell’Eni. In assenza di ulteriori novità, rischia però di rimanere nel novero del “vorrei ma non posso”: trovare imprenditori italiani disposti ad investire di tasca propria è sempre più difficile, specie in un settore, quello dell’acciaio, che sta ultimamente dando non pochi grattacapi.
Ad eccezione di gruppi come Arvedi – che si sarebbe comunque già tirato fuori dalla corsa – e Marcegaglia – dato invece in appoggio a Mittal – gli altri non sembrano per ora capaci, da soli, di disporre della forza necessaria per fare da capofila. Ci sarebbe sempre l’opzione intervento pubblico, ma fin tanto che la questione aiuti di Stato non verrà affrontata in sede Europea con la forza, politica e diplomatica, che merita, la politica industriale resterà sempre al palo.
Filippo Burla