Roma, 20 feb – La cessione dell’Ilva è un’operazione di alto livello, viste le dimensioni del siderurgico e la strategicità del sito, fra i più grandi d’Europa e con un potenziale produttivo, nonostante la crisi seguita alle inchieste per disastro ambientale, sostanzialmente immutato. Non sorprende che la corsa per accaparrarsi gli altiforni di Taranto (senza dimenticare Genova Cornigliano e Novi Ligure) sia serrata, anche se nel dossier l’Italia fa da convitato da pietra. Le offerte sul tavolo, infatti, sono tutte straniere. Da una parte abbiamo i lussemburghesi di ArcelorMittal, dall’altra gli indiani di Jindal Steel.
ArcelorMittal sembra al momento in vantaggio rispetto al gruppo indiano: “Riteniamo che la nostra offerta possa essere la migliore per una serie di ragioni: innanzitutto abbiamo una maggiore esperienza; abbiamo capacità e forza in termini di sicurezza e alti standard ambientali e sociali in grado di offrire un sicuro futuro a Ilva; siamo leader nella tecnologia di questo settore. Io vedo l’opportunità di contribuire ad un rapido miglioramento per Ilva. Possiamo essere i migliori partner”, ha affermato Aditya Mittal, figlio del fondatore. “Jindal ha una dimensione produttiva limitata e circoscritta al mercato indiano, ha poca esperienza di acquisizioni e nessuna presenza in Europa”, ha aggiunto Geert Van Poelvoorde, amministratore delegato della società.
Jindal vuole invece puntare sulla riconversione a gas dello stabilimento tarantino, “una realtà tecnologica applicata da tempo nelle nostre acciaierie in India. Chi è ostile al preridotto è perché non lo sa utilizzare e non lo sa implementare nelle acciaierie”, ha spiegato l’ad del gruppo, che punta a produrre “tra i 10 e i 12 milioni di tonnellate all’anno, 6 con il ciclo integrale, e altre 4-6 tonnellate con l’ibridazione”, con investimenti promessi per svariati miliardi di euro.
E l’Italia? L’Italia sta a guardare, con i gruppi italiani che invece di unirsi in una cordata unica hanno preferito dividersi per seguire l’uno o l’altro: abbiamo così Marcegaglia insieme ai primi, mentre Arvedi, insieme alla Delfin di Leonardo Del Vecchio, sono schierate con i secondi. Trova spazio anche Cassa Depositi e Prestiti, che dall’idea della scorsa estate di appoggiare Arvedi ed il patron di Luxottica in un’operazione tutta tricolore, ha preferito insieme agli altri soci accettare l’ingresso del gruppo indiano, rinunciando di fatto al suo compito di stimolo della politica economica e riducendosi al mero ruolo di commissario liquidatore della fu industria nazionale.
Filippo Burla