Atene, 23 apr – La parola Grexit “non voglio più sentirla a nessun incontro”. Parola di Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale. Tutto risolto dalle parti di Atene? Il silenzio attorno al declino post-rivoluzionario di Tsipras sembra aver messo in soffitta la questione della Grecia, che però ciclicamente ritorna a fare capolino sulla scena. E lo fa attorno a quegli stessi problemi che hanno portato la penisola ellenica in una devastante crisi dalla quale difficilmente il paese riuscirà mai a rialzarsi.
L’Eurogruppo, riunitosi ieri, ha parlato di “passi avanti su numerosi fronti”, grazie al fatto che l’esecutivo guidato da Syriza sembra aver ingranato la marcia su alcune riforme contro le quali il primo Tsipras si batteva ferocemente. Non sembra però abbastanza per il consesso comunitario che riunisce i ministri dell’economia. In ballo c’è una parte degli 86 miliardi promessi l’anno scorso, all’indomani del referendum quando il governo fece a pezzi la volontà popolare espressa nel famoso “Oxi”. La tranche attualmente in discussione vale 3.2 miliardi, che verranno versati solo nella misura in cui la Grecia attuerà le misure promesse per garantire al bilancio dello Stato un surplus mostruoso pari al 3.5% entro il 2018.
Dopo la privatizzazione del porto del Pireo, al vaglio del parlamento saranno così sottoposte le riforme del fisco e delle pensioni, preparate in anticipo come forma di “garanzia” ma assoggettabili ad eventuali correttivi in corso d’opera per ottenere il gradimento da parte della Troika Ue-Bce-Fmi. Un’approvazione non certa dato che a capo delle trattative è stato posto Jeroen Dijsselbloem, il falco dell’Eurogruppo che non ha mai concesso alcuno sconto. A questo giro, oltre gli aiuti – sempre sotto forma di prestito – sembra tuttavia esserci la possibilità di alleggerire il debito che grava su Atene. La discussione riguarderà “il suo ri-profilo, le scadenze e il periodo di grazia”, ha spiegato Dijsselbloem. Nessun taglio all’orizzonte, quindi, ma un’estensione che, nella migliore delle ipotesi, allenterà il cappio attorno al collo della Grecia. L’ipotesi di reciderlo di netto non è ovviamente neanche presa in considerazione.
In cambio, la ricetta è sempre la stessa e va avanti a colpi di austerità. In estrema sintesi: altri tagli di spesa, altro calo del Pil – dato che fino a prova contraria la spesa pubblica è parte del prodotto interno lordo – e ulteriore contrazione delle entrate fiscali, in una spirale che si avvita su sé stessa dal 2009 ad oggi. Non sarebbe il caso, dopo 7 anni, di ammettere il fallimento di una linea che ha sì salvato l’euro grazie alla drammatica svalutazione interna, lasciando però fra Salonicco e la Laconia un cumulo di macerie. Forse no, dato che i bambini della Grecia – oltre un quarto dei quali è in stato di povertà – devono ancora espiare le colpe dei propri genitori colpevoli di non pagare le tasse. Anche qui, parola di Christine Lagarde.
Filippo Burla
1 commento
E ci credo che i plutocrati e i loro camerieri non vogliono sentire parlare di grexit.Se la Grecia producesse la carta moneta dracma a costo zero (come invece fa oggi la BCE che è privata producendo euro) non dovrebbe niente ai banksters stranieri che invece in cambio della loro carta si stanno prendendo tutto il paese e le sue risorse. Stessa cosa stà avvenendo in Italia dove una Banca dì’Italia privatizzata e svenduta nel 1992 non genera piu’ moneta a costo zero da non dover restituire a nessuno