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Goldoni: ecco come i cinesi hanno affossato un’eccellenza italiana

by Salvatore Recupero
20 comments
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Carpi (Mo), 22 feb – La Goldoni Arbos di Migliarina di Carpi sta attraversando un momento di grave crisi. Il gruppo cinese Lovol Heavy Industry, che ha rilevato l’azienda nel 2015, ha chiesto il concordato preventivo. Si tratta di uno strumento giuridico che consente all’imprenditore che si trova in stato di insolvenza di poter evitare la liquidazione giudiziale, attraverso la proposta di un piano che consenta di soddisfare i creditori attraverso la continuità aziendale ovvero la liquidazione del patrimonio. Sindacalisti e amministratori locali considerano sleale l’atteggiamento della società e chiedono l’intervento del governo. Vediamo perché.

Goldoni: uno storico marchio nel tritacarne della globalizzazione

Tutto cominciò nel 1926 in una cascina nella campagna emiliana dove Celestino Goldoni iniziò ad assemblare pompe per l’irrigazione. Nel dopoguerra riuscì a diversificare la sua produzione: motocoltivatori e motofalciatrici fino ad arrivare ai trattori. Una fabbrica che, pur essendo molto legata al territorio modenese, riuscì nel corso degli anni a vendere i suoi prodotti all’estero grazie ad una serie di accordi commerciali. La competizione sul mercato globale non indeboliva il territorio ma anzi era una risorsa per la città di Carpi.

Verso la fine degli anni ottanta ci fu un’inversione di rotta: fu concessa alla Cina la licenza per la realizzazione e la commercializzazione di un trattore. Si era aperta una piccola breccia che pian piano divento una crepa gigantesca. Nel 2015, infatti, Lovol Heavy Industry acquisì il celebre stabilimento. Un finale scontato: visto che alle spalle del nuovo acquirente c’era il governo di Pechino.

L’interesse dei cinesi per le nostre macchine agricole

Ma perché i cinesi sono attratti dai trattori come dei bambini? Il motivo è semplice: il colosso asiatico sta incentivando sistematicamente le aziende del settore agricolo ad internazionalizzarsi per acquisire le competenze necessarie a meccanizzare le produzioni. Al Celeste Impero mancavano, però, le conoscenze necessarie per produrre le macchine agricole. Quest’ultimo è uno dei settori in cui gli italiani eccellono. Ecco, dunque, perché il governo cinese avviò una grossa campagna acquisti sulle nostre fabbriche migliori.

A fare da apripista il gruppo Foton Lovol, società del gruppo Foton Lovol International Heavy Industry, che ha acquisito (oltre alla già citata Goldoni) il pacchetto di controllo di MaterMacc. Quest’ultima è un’azienda di San Vito al Tagliamento (Pordenone) il cui business negli ultimi anni si è concentrato sulla progettazione e produzione di seminatrici pneumatiche di precisione. Infine, la stessa sorte è toccata allo storico marchio piacentino Arbos. Tutte queste operazioni sono realizzate attraverso la Lovol Arbos Group di Calderara Reno, base operativa del gruppo cinese in Europa. Non mancano a dire il vero anche investimenti italiani in Cina. Ovviamente, l’Italia è un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro.

Predatori o imprenditori?

Torniamo ora al caso Goldoni. I cinesi non investono mai con prospettive di lungo periodo ma cercano di assorbire tutto il know how (che a loro manca) lasciando al loro destino creditori e lavoratori. Ecco il vero motivo che sta dietro l’avvio di una procedura concorsuale. Essa non è, certo, legata alla scarsa produttività dei dipendenti. La vitalità dell’azienda modenese è dimostrata dal crescente numero degli ordinativi.

La decisone di Lovol Heavy Industry metterà a rischio 240 lavoratori. La situazione occupazionale potrebbe aggravarsi a causa dell’assenza di ammortizzatori sociali (cancellati dalle normative introdotte nel 2015 dal Jobs Act). Gli strumenti di supporto al reddito sono stati utilizzati nella precedente crisi e hanno consentito il passaggio di proprietà nel 2016, la salvaguardia dello stabilimento e dell’occupazione. Inoltre, congelando il pagamento ai debitori sarà colpita tutta la filiera collegata allo stabilimento. Purtroppo non ci troviamo di fronte ad un’eccezione. Pechino, in fondo, prende esempio dalle multinazionali che fanno shopping in Italia. Stiamo diventando una nazione fast food, in cui chi arriva compra, mangia e scappa via. Se vogliamo evitare questa fine ingloriosa è bene che il governo (sempre che ne abbia voglia) faccia sentire la sua voce. Infatti, prima di puntare il dito contro i predatori dovremmo riflettere che da molti, troppi, anni ci piace essere prede.

Salvatore Recupero

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20 comments

Luca 22 Febbraio 2020 - 3:33

scusa, ma chi vende ai cinesi? dei colombiani? Carola Rakete? la Merkel? no perchè in questi articoli si punta sempre il dito verso la globalizzazione e mai contro chi si riempie il portafoglio vendendo ai cinesi.

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Fabio Crociato 22 Febbraio 2020 - 3:46

Articolo quasi da manuale…
Ci sarebbe da chiedersi come mai ci “piace” essere prede anche in casa nostra, dopo essere risultati prede in casa degli altri? Opere, lavori “forzati”?! Mi pare proprio di sì. Ricordo che si parlava di boom economico…, ancora deflagra! Nonostante le distruzioni da decenni. Basta con l’ ottimismo distruttivo!

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Leone 22 Febbraio 2020 - 4:17

Eravamo un popolo di eroi lavoratori e belle persone italiane, adesso non si capisce piu’ una mazza siamo invasi dalle peggiori razze del pianeta ,neanche io so piu’ se sono italiano o cosa.

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Leone 22 Febbraio 2020 - 4:17

il tutto grazie a questi comunisti sessantottini di merda che hanno rovinato l’italia.

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Costantino Radis 23 Febbraio 2020 - 9:30

Ritengo che nell’articolo ci siano una lunga e imbarazzante serie di notizie inesatte e totalmente strumentali. Tutti gli addetti ai lavori che conoscono in modo serio e referenziato la situazione della Arbos sanno molto bene che le responsabilità non sono affatto della casa madre Lovol ma della pessima gestione dei manager italiani messi a capo del progetto e che, loro stessi in primis, hanno proposto all’azienda cinese.

Tanto che, dopo aver salvato la Goldoni dal precedente fallimento tutto “made in Italy” (la nostra imprenditoria famigliare sta facendo acqua da tutte le parti per inadeguatezza delle generazioni successive ai fondatori), dopo aver investito decine di milioni di euro e aver aumentato il numero degli occupati, si è trovata con un pugno di mosche in mano. Soprattutto si è rotta la fiducia con un paese e con la dirigenza.

A oggi la Lovol ha deciso di non investire più in un progetto in cui, dopo aver dato la massima fiducia alla gestione italiana, ha perso molto denaro senza però, in cambio, avere le tecnologie rivoluzionarie di cui si parla nell’articolo. La Lovol è uno dei più grandi costruttori di trattori al mondo e la capacità tecnologica cinese – per chi lavora seriamente e conosce ciò che dice – è oggi molto più evoluta di quanto si legga nell’articolo.

L’insuccesso è dovuto alla gestione commerciale pessima che si è basata su una rete vendita approssimativa e non sviluppata a sufficienza, in importatori in altri paesi europei che sono stati insolventi e di cui, nel mercato, si sapeva esattamente storia e passato equivoco.

La Lovol voleva sviluppare il proprio business in Germania ed è stata convinta ad investire in Italia proprio dai manager italiani che hanno proposto questo affare speculando loro per primi sul fallimento Goldoni.

Altre grandi aziende cinesi del settore movimento terra, come la Sany, hanno investito in Germania in nuove unità produttive, nello sviluppo di prodotti e guarda caso le cose vanno a gonfie vele.

Fintanto che si fotografa la situazione italiana come la migliore al mondo e vediamo gli investitori come sciacalli non andremo mai lontano.

Non siamo il centro del mondo, dobbiamo farci un bell’esame di coscienza come paese e soprattutto le cose vanno dette in modo corretto con dati e notizie sotto mano.

Certo è che se i problemi sono affrontati nel modo in cui è stato scritto l’articolo ci meritiamo tutto il peggio.

Se realmente si vuole bene a questo paese sarebbe ora che si esaminassero le cose in modo oggettivo. I problemi si risolvono con le analisi serie. Non scrivendo sciocchezze tanto per dare del mostro a chi, con i propri soldi, ha creduto nel tessuto produttivo italiano ed è rimasto scottato.

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Marc 23 Febbraio 2020 - 11:45

E quale sarebbe “il centro del mondo”? Sentiamo.

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Da 23 Febbraio 2020 - 12:38

Non Carpi purtroppo!
Nel link che allego, si parla di crisi prima dell’acquisto da parte dei cinesi, con fermo della fabbrica di 1 anno e mezzo… Purtroppo la Goldoni stava diventando un ricordo già qualche anno fa… Si fa presto a sparare a zero sulla nuova proprietà soprattutto se straniera… Se erano americani avreste scritto gli stessi commenti?
https://www.meccagri.it/goldoni-si-riparte-alla-grande-con-il-nuovo-engineering-center/

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Lorenzo 23 Febbraio 2020 - 12:40

Costantino ti do perfettamente ragione. Ora si piange ma gli errori risalgono a partire dagli anni 90.

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AC 23 Febbraio 2020 - 1:55

Da dipendente dell’azienda in questione, trovo che l’articolo sia di una superficialità e un pressappochismo imbarazzanti.

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AC 23 Febbraio 2020 - 3:22

Da dipendente dell’azienda in questione, trovo che questo articolo sia di una superficialità e un pressappochismo imbarazzanti.

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Mauro 23 Febbraio 2020 - 5:47

Analisi ineccepibile!

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Vittorio 23 Febbraio 2020 - 8:24

Proporrei a tutti gli Italiani di non acquisrare più prodotti da aziende che arrivano magari prendono soldi x investire,dopo un po licenziano e se ne vanno.Basta acquistare Goldonj wirpool o altri prodotti da aziende che delocalizzano e licenziano i nostri lavoratori.

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Goran Vizintin 24 Febbraio 2020 - 7:20

Bravo! Centrato in pieno il succo del discorso!!! Tutti vogliono solo vendere per non doversi più scassare le balle in azienda!!

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ALFREDO 24 Febbraio 2020 - 8:25

Purtroppo e la realtà di mercato. Perché è stata venduta ai cinesi ? Forse perché era già in crisi , perché se produceva utili sicuramente non avrebbero venduto. Chi mai vende una vacca che molto latte ?? È rimasta troppo piccola x fare concorrenza ai colossi odierni i quali piazzano sui trattori il meglio della tecnologia mondiale .
Purtroppo i piccoli sono i primi ad essere mangiati .
Peccato

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Gianfranco 24 Febbraio 2020 - 9:05

siamo sicuri che il management italiano non abbia colpe???

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Marco Tocc. 24 Febbraio 2020 - 1:33

Sarebbe utile una politica seria.
Le aziende non si vendono e non si fanno chiudere così facilmente da giudici e liquidatori spregiudicati, ma vanno assistite e aiutate come:
Circa 15mila esuberi bancari potrebbero essere istruiti per il controllo finanziario aziendale, ai quali assegnare il controllo locale di 10 aziende a testa.
In questo modo la banca finanzia l’impresa e la controlla come spende i soldi, ma nel contempo e anche in grado di capire quando e come gli servono. Con questa operazione si innesca una virtuale attività di rinascita delle imprese Italiane che sono le migliori al mondo x genialità e capacità.

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Bracco 26 Febbraio 2020 - 4:02

Dal materiale di un goldone italiano se ne fabbricano quattro cinesi.
Se questa non è economia.

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M. 2 Marzo 2020 - 11:57

Non sono proprio i Cinesi ad aver affondato una eccellenza Italiana, visti i capitali investiti duranti gli ultimi anni, mi sento di dire che il management Italiano del gruppo Arbos ha avuto in mano tutte le carte da giocare per rendere la storia di Goldoni e Matermacc un successo.

Ci sono fior fior di articoli con promesse e conferenze stampa, forse è meglio puntare il dito su chi veramente è da biasimare.

Detto questo, il management Cinese ha sicuramente le sue colpe, ad oggi l’investimento non è riuscito, e quindi stanno pensando a procedere in maniera alternativa con un approccio diverso al mercato Europeo (non più producendo in loco, ma sfruttando la bassa mano d’opera in Cina).

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Macondo 4 Maggio 2020 - 6:29

Leone,tu devi essere un grande analista politico. Chissà al bar che successo

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GAA 19 Maggio 2020 - 1:14

Ho letto con attenzione i vari commenti, alcuni molto ben fatti e altri meno. Il sig. Radis ha detto piuttosto bene e conosce probabilmente , come me la situazione, da addetto al settore e oltre…

La Goldoni ando’ in difficolta’ a partire dal 2008 quando il rapporto di fornitura ventennale con John Deere, con la crisi mondiale dell’epoca , si ridusse del 80% in soli 12 mesi, a seguire tutti i mercati del Medio Oriente e del Nord Africa seguirono la deriva che tutti conosciamo, togliendo bacini di clienti storici per l’azienda. Alcuni anni di tentativi e difficolta’ varie e nel 2016 venne ceduta a questo gruppo che aveva un grande progetto credibile, visto la presenza in Italia dello stabilimento di progettazione di Bologna che operava gia’ da diversi anni. Serviva un sito produttivo per la linea Arbos e per continuare e sviluppare il marchio Goldoni, e in pochi mesi presero la decisione.

Ritengo che la responsabilita’ piu’ grande sia dei manager italiani hanno sperperato una occasione d’oro, visto le risorse messe in campo sin dall’inizio e il potenziale che il marchio italiano aveva e avrebbe tuttora.
Oltre alla scelta totalmente priva di logica commerciale di spegnere il marchio Goldoni per puntare sul marchio Arbos (azienda piacentina chiusa nei primi anni 90) che non ha mai prodotto trattori nella sua storia, ma solo mietitrebbie.
Tanto cinema, tanti proclami per durare solo tre anni , quando con tutto quello che si e’ speso si poteva fare diventare Goldoni il leader mondiale delle macchine specializzate, restando almeno inizialmente in questo segmento di prodotto.
Invece parlavano di full line e di competere con marchi mondiali ultracentenari, scegliendo la strada ancora piu’ in salita, lanciando un marchio nuovo.

A mio parere i cinesi si sono fidati troppo e dovevano essere piu’ presenti. Il progetto era valido e c’erano tutti i presupposti per fare bene, soffrendo per i primi anni ma questo era normale.
Lovol e’ un grande gruppo con aziende in Cina e linee di assemblaggio a livello automotive e mi sarei atteso decisamente piu’ professionalita’,cura e giudizio.

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