Bruxelles, 25 mag – Dopo sole (visti i trascorsi) 12 ore di trattative, preso atto dei “compiti a casa” svolti, l’Eurogruppo ha approvato lo stanziamento di 10.3 miliardi nell’ambito del piano internazionale di aiuti alla Grecia. La prima tranche da 7.8 miliardi verrà versata a giugno, per quella successiva da 2.5 bisognerà aspettare la fine dell’estate.
Una soluzione, quella trovata nella notte, che accontenta tutti: Tsipras torna a casa portano la promessa che le riforme appena approvate saranno le ultime del periodo dell’austerità, Schäuble non scopre il fianco all’opposizione interna sul taglio del debito e Dijsselbloem può continuare nel suo ruolo di falco. Se sugli ultimi due punti non sembrano esserci dubbi, è il primo a lasciare interdetti. “Siamo a una svolta che ci consente di uscire dal circolo vizioso recessione-tagli-recessione e di aprire di nuovo l’era degli investimenti esteri nel paese”, ha spiegato Euclid Tsakalotos, l’anonimo ministro delle finanze che il premier ha deciso di mettere al posto di Varoufakis per dare attuazione al tradimento referendario. Dichiarazione impegnativa, visto che nei prossimi mesi la Grecia sarà alle prese con l’attuazione delle misure varate non più tardi dell’altro ieri e che prevedono, fra le altre cose, forti aumenti dell’Iva anche su prodotti di consumo di massa (caffé e internet), l’eliminazione dell’agevolazione sulla stessa prevista per le isole e l’introduzione di una simpatica (almeno per i turisti) tassa di soggiorno. Il tutto accanto a quasi 4 miliardi di tagli già varati pochi giorni prima. Sarà anche austerità con il sorriso, ma – se vogliamo chiamare le cose con il loro nome – sempre di austerità si tratta.
Oltre al danno, dietro il varo degli aiuti si nasconde anche la beffa. Ad Atene arriveranno più di 10 miliardi freschi, sì. Ma questi prenderanno quasi per intero e quasi subito la via dell’estero, finendo in tasca ai creditori per rimborsare prestiti passati. E chi sono i creditori? Gli stessi che hanno deciso gli aiuti. Ecco dunque lo schema: richieste di aumenti di tasse, tagli allo stato sociale, privatizzazione dei beni pubblici (anche quelli redditizi) in cambio di fondi che tornano immediatamente nelle tasche di chi li ha versati. Il risultato, alla fine, è solo una nuova stretta sulla Grecia, che non farà altro che procrastinare per l’ennesima volta un’uscita dal tunnel che sembra sempre più lontana.
Altro tema all’ordine del giorno era quello del debito pubblico, croce e delizia della crisi di Atene. La ricetta in essere dal 2010 era “semplice”: con aumento delle tasse e taglio della spesa pubblica la Grecia avrebbe avuto minore necessità di ricorrere a risorse esterno (debito, appunto), procedendo quindi lungo un circolo virtuoso di abbattimento dello stesso. Il debito, in effetti, è sceso: in assoluto si è ridotto di quasi il 7% dal 2010 al 2015. Solo che, come effetto collaterale del combinato disposto tasse-tagli, nello stesso periodo il Pil ha lasciato sul terremo il 25%: se in un rapporto il denominatore cala più del numeratore, il valore del rapporto stesso, nel suo complesso, aumenta. Non sono opinioni: è matematica. Anche se dalle parti della Troika continuano ad ignorare bellamente l’evidenza, proseguono sugli stessi errori che da sei anni a questa parte continuano a far fallire tutti i piani varati nel tempo.
Filippo Burla