Roma, 18 set – Secondo Adriano Scianca, recentemente protagonista di una vivace puntata su Radio Kulturaeuropa a tema nazionalismo europeo, le tre parole sulle quali dovrà giocoforza essere costruito il nostro futuro sono Europa, tecnologia ed ambiente. A proposito di questi fondamentali termini: negli stessi giorni qualche quotidiano – tra cui Il Sole 24 Ore – rilanciava (tiepidamente, a dir la verità) le intenzioni del governo circa la reintroduzione del nucleare in Italia. Senza dubbio è un’ottima notizia, vediamo il perché.
Fossile o rinnovabile? Sempre di dipendenza si tratta…
Partiamo da qualche dato di fatto. Come ben descritto nello studio “Idee per una strategia energetica nazionale” – fatica elaborata da Gian Piero Joime, Filippo Burla, Alessandra Tripodi e Giuseppe Vitale – il nostro paese si trova oggi, come ben sappiamo, nella condizioni di dipendere dall’importazione di fonti fossili. In un contesto mondiale in continua evoluzione e, almeno in Occidente, sempre più orientato al rinnovabile, non dobbiamo commettere l’errore di pensare che bioenergia, eolico, idroelettrico e fotovoltaico possano diventare sinonimo di indipendenza.
Questo per la loro stessa natura: il vento non sempre soffia, i fiumi devono avere precise caratteristiche, il sole “soffre” della stagionalità. Ma anche perché le tecnologie informatiche ed elettroniche collegate sono controllate in larga parte da imprese extra-europee. E le materie prime concentrate in pochi paesi africani soggetti a supervisione cinese. Una situazione che, tornando al primo dei tre vocaboli di cui sopra, accomuna tante altre Nazioni del Vecchio Continente ad esclusione della Francia, dove – appunto – in passato si è puntato (anche) sul nucleare.
La risposta è nel mix energetico
Ora, piaccia o non piaccia, sappiamo che per ovvi motivi petrolio, carbone e compagnia inquinante ci torneranno utili ancora per diverso tempo. La risposta giusta – tanto italiana quanto europea – sta quindi nell’atomo e nel fondamentale contributo che potrà dare al mix energetico.
A livello globale gli oltre quattrocento reattori in funzione (che hanno una “vita lavorativa” decisamente più lunga rispetto alle altre centrali elettriche) producono circa il 10% dell’energia totale. Almeno fino al 1987 – anno del referendum che chiuse definitivamente la stagione degli incentivi statali al nucleare e il conseguente disimpegno della politica sulla questione – l’Italia ha contribuito alla causa da protagonista, sia scientificamente che a livello operativo. E ancora oggi nelle nostre università si formano gli ingegneri migliori.
Le critiche al nucleare in Italia? Più ideologiche che tecniche
Posto che le rimostranze di certo ambientalismo sono più ideologiche che tecniche, vale la pena parlare del nodo sicurezza. Eccoci alla tecnologia e ai suoi passi in avanti. Le probabilità di nuove Chernobyl (impianto civile e militare, oggi non più consentito) e Fukushima – nessuna delle diciottomila vittime del terremoto è riconducibile alla centrale – rasentano oggi lo zero. Gli impianti moderni sono progettati per resistere ai grandi eventi sismici e il doppio sistema di difesa attivo/passivo (strumentazione/principi fisici) viene abbinato a quattro barriere poste tra il nocciolo e l’esterno.
Questione radioattività. Come ci ricordano gli esperti, trattasi di fenomeno naturale – soggetto a decadimento, a differenza di altri elementi ambientalmente problematici e stabili – ovunque presente e non pericoloso in sé, ma in base alla dose assorbita. Un corretto smaltimento delle scorie (miniere di salgemma, banchi basaltici, zone desertiche) garantisce pertanto la giusta risoluzione del problema.
Sempre a livello ecologico la decarbonizzazione passa giocoforza dallo sviluppo di un piano nucleare: confrontando i dati di Italia, Francia e Germania – qui l’atomo è in regressione – lo stesso studio dimostra che (guarda caso) sono proprio i transalpini ad avere, in proporzione sui Kwh prodotti, minori emissioni di anidride carbonica.
L’importanza dell’atomo
Ultimo, ma non per ultimo, il lato economico. L’uranio – largamente disponibile sulla terra e verosimilmente estraibile anche dal mare – ha grandissima densità energetica: piccole quantità consentono di realizzare un’importante produzione. Nel 2021 il costo veniva stimato in 5 centesimi di euro/Kwh (contro i 7 del gas naturale e i 9 del carbone).
Ragioniamo in ottica di lungo periodo. Facendo una distinzione tra carico base, fascia intermedia e picchi di richiesta, l’energia nucleare potrà quindi coprire il livello minimo di domanda (stimato in 20 gigawatt di potenza). Il normale funzionamento del sistema sarà poi garantito dal pacchetto delle rinnovabili e si dovrà ricorrere al fossile solamente nei momenti di apice. La sfida è italiana, quindi europea. Viviamo in un società energivora e in piena transizione energetica. Senza nucleare – sicuro, indipendente, sostenibile, necessario – non può esserci sviluppo. La storia, anche quella civile, economica e industriale, si fa sempre in avanti.
Marco Battistini