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Elica: la pandemia non ferma la delocalizzazione

by Salvatore Recupero
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Roma, 11 apr – “Essere socialmente responsabili, per Elica, significa essere responsabili non solo nei confronti dell’ambiente e del territorio, ma anche nei confronti delle persone, la prima e più importante risorsa”. Si presenta così Elica Spa sul suo sito ufficiale. Stiamo parlando della multinazionale, con sede a Fabriano (in provincia di Ancona), leader mondiale nel settore delle cappe a uso domestico. Purtroppo, l’azienda non si sta mostrando così responsabile nei confronti delle persone. Il gruppo marchigiano vuole delocalizzare in Polonia. L’impatto sociale per il territorio sarebbe molto grave: 400 licenziamenti su 570 dipendenti.

Anche gli italiani delocalizzano

Questa notizia non sta avendo la stessa eco sui media di altre vertenze tipo Embraco. In questo caso non di tratta di stranieri, ma di imprenditori italiani che hanno vorrebbero spostarsi all’estero per tagliare il costo del lavoro. Eppure l’azienda, sin dalla sua fondazione nel 1970, è stata capace di crescere senza far ricorso a queste scorciatoie. Partendo da un comune di 30mila abitanti la famiglia Casoli ha trasformato una piccola fabbrica in una multinazionale con fabbriche disseminate in Messico, India, Cina, Polonia, oltre che in Italia. Fra i clienti di Elica ci sono colossi come Ikea, General Electric, Electrolux, Haier e Whirlpool. La sua forza è sempre stata la capacità di innovare il design e lo stile.

Oggi l’azienda è presieduta da Francesco Casoli (figlio del fondatore Ermanno scomparso nel 1978). L’imprenditore marchigiano ha avuto tanti riconoscimenti: è stato nominato Cavaliere del lavoro nel 2017. Ma soprattutto è stato senatore dal 2006 al 2013 per Forza Italia prima e per il Popolo della Libertà poi. In questi giorni la sua fama di imprenditore illuminato comincia però a scricchiolare. Il 2 aprile, infatti, è arrivata la doccia gelata per i dipendenti marchigiani. L’azienda ha annunciato un nuovo piano di riorganizzazione che prevede la chiusura dello stabilimento a Cerreto D’Esi e la delocalizzazione del 70% delle produzioni effettuate nei siti di Fabriano, Cerreto e Mergo. Più di 400 lavoratori su 560 rischiano il posto. A quanto pare i lavoratori italiani verranno sostituiti dai polacchi. Ovviamente la reazione dei sindacati non si è fatta attendere.

La rabbia dei lavoratori Elica

I rappresentanti della Triplice nello stesso giorno hanno rilasciato un durissimo comunicato stampa nei confronti del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti: “La decisione dell’azienda rischia di provocare il disastro sociale e la desertificazione industriale del territorio, per Fim-Fiom-Uilm l’unica soluzione possibile è il mantenimento delle produzioni nei siti di Fabriano, Cerreto D’Esi e Mergo e la tutela di tutta l’occupazione. Ci auguriamo che almeno stavolta il Ministro Giorgetti risponda alla nostra richiesta e si interessi alle vicende dell’industria e del lavoro, verso cui continua ad ostentare la più assoluta indifferenza. Il passaggio di consegne fra il precedente e il nuovo Governo, ha difatti rappresentato la scusa per il Ministro Giorgetti per tralasciare le vertenze industriali e defilarsi in un modo che probabilmente non ha precedenti nella storia repubblicana”.

Fino ad oggi Giorgetti non ha mosso un dito. Eppure le soluzioni di buon senso non mancherebbero. Ad esempio il segretario nazionale della Fim-Cisl Massimiliano Nobis ha spiegato che “delocalizzare in Polonia per abbattere il costo del lavoro sia, in realtà, una scorciatoia. Il costo del lavoro incide fra il 16 e il 30% e ci sono altri modi per ridurlo come, ad esempio, puntare maggiormente sulla formazione dei lavoratori”.

La Regione tenta di mediare, ma l’azienda non molla

 In attesa della convocazione al Mise, si sono mossi gli enti locali ed in particolare il presidente della Regione Marche, Francesco Acquaroli. Quest’ultimo ha spiegato che “il patrimonio di lavoro, conoscenze e di imprenditorialità che abbiamo acquisito negli anni va difeso perché questo è uno dei più grandi problemi che le Marche hanno, insieme alla ricostruzione e al Covid. Metteremo in campo – ha promesso – tutte le risorse che abbiamo, in termini di conoscenze, di relazioni istituzionali e finanziarie per cercare di risolvere questa difficile situazione”.

Il primo incontro non poteva non essere interlocutorio. Le parti in causa sono rimaste sulle loro posizioni. In particolare, la dirigenza dell’azienda ha parlato di una “scelta dolorosa, ma assolutamente necessaria per salvaguardare il futuro e la stabilità del Gruppo Elica”. Questa è una musica che abbiamo già sentito. Quando un’impresa inizia a delocalizzare spiega subito che il sacrificio di pochi servirà a salvare il futuro degli stabilimenti. Dopo qualche anno il taglio del costo del lavoro diventa permanente: rimane solo il capannone con il cartello “vendesi”. Ovviamente, nonostante il lodevole impegno, Acquaroli non può gestire una vertenza così complessa. È necessario l’intervento del Mise.

L’assordante silenzio di Giorgetti

Torniamo, dunque, all’accusa dei sindacati: perché Giorgetti tace? Questa è una domanda a cui può rispondere solo il ministro di Cazzago Brabbia. Forse dirà la sua nei prossimi giorni. Intanto, non possiamo fare a meno di notare che il Vicesegretario federale della Lega in questi ultimi mesi pare abbia compreso l’importanza dell’intervento dello stato nell’economia.

Per una strana combinazione, mentre era in corso il tavolo di crisi per la vertenza Elica, Giorgetti prometteva un cambio di passo sulla gestione delle crisi aziendali. Il ministro leghista (durante l’audizione presso le commissioni riunite Attività produttive di Camera e Senato sulle linee programmatiche del suo dicastero) ha preso degli impegni precisi. In primis, il Mise ha avviato “le procedure di reclutamento per l’attivazione di una specifica struttura che si avvarrà di competenze di professionali di spiccata qualità per supportare le decisioni ministeriali nei tavoli di crisi”. In secundis lo stesso dicastero ha disposto “lo stanziamento di un fondo che potrà essere attivato per traghettare imprese in temporanea difficoltà verso condizioni migliori, quando vi siano prospettive di ripresa”. Ed infine per concludere a Via Veneto si adoperano per estendere l’ambito di applicazione del golden power. Insomma, chi sente parlare il ministro lumbard stenta a riconoscerlo.

C’è da fidarsi? Questo lo vedremo. Intanto, per dimostrare la sua buona fede potrebbe prendere un serio provvedimento contro le delocalizzazioni. Chi sposta la produzione all’estero non lo fa mai nell’interesse né della nazione né dei lavoratori.

Salvatore Recupero

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