Roma, 8 apr – Sembrava solo questione di tempo, visto che Uber Black è un servizio decisamente più di nicchia e difficilmente contestabile rispetto al più noto Uber Pop, il cui utilizzo in Italia è già bandito. Quel tempo è arrivato ieri, con una sentenza del Tribunale di Roma che intima alla multinazionale di San Francisco di disattivare l’applicazione entro 10 giorni.
Le motivazioni alla base della sentenza, arrivata dopo un ricorso presentato dalle associazioni di categoria? Uber Black fa concorrenza sleale, spiegano i giudici, dato che gli autisti non sono soggetti – a differenza ad esempio dei taxisti – “a tariffe predeterminate dalle competenti autorità amministrative”, potendo applicare “prezzi più competitivi” seguendo le “esigenze del mercato”, andando perciò “a danno di coloro che esercitano il servizio di taxi o di noleggio con conducente”. Accertata dunque “la condotta di concorrenza sleale”, continuano i magistrati capitolini, ecco allora il divieto “di porre in essere il servizio di trasporto pubblico non di linea con l’uso della app Uber Black e analoghe, il blocco di dette applicazioni con riferimento alle richieste provenienti dal territorio italiano, nonché di effettuare la promozione e pubblicizzazione di detti servizi sul territorio nazionale”.
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Il divieto sancito va bene oltre il pronunciamento con il quale, nel maggio 2015, il Tribunale di Milano avevano disposto lo ‘spegnimento’ di Uber Pop. Oltre ad Uber Black, finiscono infatti nel bando anche Uber-Lux, Uber-Suv, Uber-X, Uber-XL, UberSelect, Uber-Van, varianti dell’applicazione che si differenziavano dal modello-base per le caratteristiche del servizio. Strategia di marketing o comportamento furbesco di Uber per spezzettare l’attività ed evitare così l’accusa di svolgere un servizio di taxi abusivo? Il dibattito era aperto, almeno fino a ieri.
Filippo Burla