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Scandalo Volkswagen: chi ne trae davvero vantaggio?

by Francesco Meneguzzo
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Winterkorn+Marchionne

L’ex Ad di Volkswagen, Martin Winterkorn (sinistra) con l’Ad di Fiat Chrysler Sergio Marchionne (destra)


Detroit, 28 set – Che Sergio Marchionne, manager italo-canadese di 63 anni, sia un visionario di straordinario successo è difficile negarlo, essendo riuscito a un tempo a salvare la Chrysler, a fonderla con la Fiat e a portare la risultante FCA, costituita nel 2014, verso un’internazionalizzazione impensabile fino a pochi anni fa.
Tanto che tra le grandi case la FCA è l’unica ad essere cresciuta a Wall Street nel 2015 – di circa il 15% a oggi, ma era arrivata a salire di oltre il 40% la scorsa primavera – mentre la General Motors (GM) ha perso oltre il 10% e la Volkswagen (VW), sostanzialmente in linea con la FCA fino a metà luglio, ha successivamente imboccato una strada discendente fino al precipizio dell’ultima settimana, lasciando sul terreno oltre il 30% dopo lo scandalo.
Secondo l’agenzia Bloomberg, lo scandalo dei motori diesel VW rappresenta un inatteso impulso alla campagna per le fusioni spinta dall’amministratore delegato di Fiat Crysler Automobiles Sergio Marchionne.
I regolatori negli Stati Uniti e nel mondo, sempre secondo Bloomberg, sono orientati a stringere le misure di controllo dopo che VW ha ammesso di aver manomesso i motori diesel per anni in modo da superare i test d’inquinamento negli Usa, così da provocare un aumento dei costi necessari per sviluppare tecnologie più pulite. Questo potrebbe essere insostenibile da parte delle case automobilistiche, come testimoniato dal fatto che il livello di conflitto già esistente tra il soddisfacimento delle linee guida sulle emissioni e la realizzazione dei livelli di profitto richiesti dagli azionisti è stato sufficiente a indurre VW alla truffa fatale.
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Indici azionari di Volkswagen (VW), General Motors (GM) e Fiat Chrysler (FCA) da fine 2014


Inevitabilmente, l’affare VW crea le condizioni per un riassetto degli asset industriali che può portare a fusioni tra i costruttori automobilistici una volta che si sarà posata la polvere sollevata dallo scandalo”, ha dichiarato Emanuele Vizzini, alto dirigente di Investitori Sgr a Milano, che gestisce 3,6 miliardi di euro inclusi importanti pacchetti azionari di FCA. “Ci aspettiamo che Fiat assuma un ruolo attivo con l’aiuto del momento positivo del suo business”.
Marchionne ha condotto una crociata per le fusioni almeno da un anno, sostenendo che i costruttori automobilistici buttano via i soldi sviluppando versioni multiple e ripetitive delle stesse tecnologie, tra cui quelle per il controllo delle emissioni e i sistemi di sicurezza, e combinare gli sforzi (cioè, fondendo gli asset) aiuterebbe, spalmando i costi su un maggior numero di veicoli. Finora il suo mantra è stato per lo più ignorato dai colleghi, e in particolare da quelli del partner che in linea di principio è il preferito dal capo operativo di FCA, cioè General Motors. GM, infatti, ha sostenuto di essere abbastanza forte per fare da sola. Oggi, a detta di Bloomberg, questa sicurezza potrebbe essere sul punto di venire meno.
C’è ora chiaramente il rischio che con i regolatori che investigano su tutte le case costruttrici, anche trovandoli tutti conformi [alle regole, ndr], questi potrebbero concludere che l’unico modo per mitigare futuri problemi sia quello di imporre procedure di test più severe”, sostiene Kristina Church, analista londinese di Barclays, potentissima multinazionale finanziaria nota anche come “la corazzata dei Rothschild”, dinastia protagonista assoluta dell’alta finanza a partire dal XVIII secolo. Più che una previsione, pare un… consiglio.
Tanto più che già nell’aprile scorso Marchionne sosteneva, quasi profeticamente, che i costi di produzione delle case automobilistiche sarebbero cresciuti anche a causa della “pressione dei regolatori sulle emissioni”, così che solo la condivisione di tali costi tra case che dovrebbero fondersi avrebbe potuto nuovamente innalzare i “ritorni decrescenti” delle loro attività. Da qual momento, Marchionne si è concentrato sul dossier GM, casa che è grande oltre il doppio rispetto a FCA: i due gruppi condividono la strategia di agire su più marchi e tipologie di produzione, ma soprattutto General Motors appare – per quanto grande sia – una preda relativamente più vulnerabile di altre, mancando di un azionista dominante in grado di difenderla, come invece Ford e Volkswagen (quest’ultima al 20% in mano allo Stato tedesco). L’azionista principale di GM è infatti un trust del sindacato lavoratori automobilistici americano (United Autoworkers labor union), che ne detiene l’8,9%.
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John Elkann, prewsidente di FCA (destra) con Sergio Marchionne (sinistra)


La cortina del silenzio dei rappresentanti di FCA, intanto, è stata rotta niente meno che dal presidente della stessa FCA, John Elkann, che con i Rothschild condivide tra l’altro il consiglio di amministrazione, oltre a una nutrita partecipazione azionaria, e complessivamente il controllo, nell’Economist, gigante britannico dell’informazione economico-finanziaria. Il giovane padrone di Fiat-Chrysler è stato pronto a sostenere, giovedì scorso e con il cadavere Volkswagen ancora caldo, che le fusioni sarebbero state necessarie anche se lo scandalo VW non fosse venuto alla luce: “Le motivazioni per un consolidamento [delle proprietà e dei gruppi automobilisti] sono valide e lo rimangono indipendentemente da quello che sta accadendo a VW”, aggiungendo comunque, impietosamente, che l’affare VW è “molto serio”.
Secondo Bloomberg, che cita fonti anonime ma ben informate, Marchionne starebbe alacremente lavorando almeno dallo scorso giugno sull’interesse degli investitori (leggasi: grandi banche d’affari) per accelerare la fusione tra FCA e GM e anche per valutare possibili alternative, menzionando tra queste ultime la stessa Volkswagen, che detiene il più alto budget nel mondo per ricerca e sviluppo (ma che, come si è scritto, presenta la barriera dell’ampia partecipazione dello Stato tedesco).
In conseguenza dello scandalo, tuttavia, VW appare fuori gioco sia come potenziale concorrente nella scalata a GM, sia come potenziale partner di FCA. A sostenerlo, tra gli altri, George Gallier, un analista di Evercore ISI a Londra: “VW è fuori dalla corsa. Se VW non credeva di risolvere i propri problemi negli Usa acquisendo business di FCA nella prima parte di quest’anno, non si vede perché dovrebbero improvvisamente avvertirne la necessità ora”. Evercore ISI è stata fondata nel 1996 negli Stati Uniti e i suoi stretti rapporti con i Rothschild sono noti.
È così che, all’inizio del prossimo anno, dopo che FCA avrà scorporato la sua divisione Ferrari supercar e potrà disporre degli introiti della relativa operazione, proprio quando verosimilmente sull’industria automobilistica saranno calati come una mannaia tutti gli effetti nefasti dello scandalo VW e i relativi consigli di amministrazione si saranno dovutamente ammorbiditi, Marchionne ed Elkann potranno procedere con il loro piano di acquisizioni a partire da GM.
La spinta di Marchionne per le fusion è quanto mai tempestiva”, sostiene Giuseppe Berta, professore all’università Bocconi di Milano e già capo degli archivi Fiat: “[Marchionne] dovrebbe spingere per una fusione con GM subito dopo la separazione della Ferrari per approfittare di una Volkswagen indebolita in modo da guadagnare clienti”.
Insomma, pare che il noto motto “È l’economia, stupido!” detti legge anche questa volta: altro che emissioni di ossidi di azoto. E l’economia che conta ruota sempre intorno ai soliti noti, che possono contare sul multiforme poliziotto-America, di volta in volta sotto la forma militare o di autorità di regolamentazione (e di sanzione), per perseguire i propri scopi. È, questo, anche un pallido assaggio di quello che ci potremo aspettare se e quando – forse prima di quanto si creda – sarà ratificato anche dal Parlamento europeo il trattato di partnership transatlantica (Ttip), una vera e propria delega in bianco in conseguenza del quale qualsiasi residua sovranità economica andrà irrimediabilmente perduta.
Francesco Meneguzzo

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