Roma, 1 ott –
Nel mese di agosto continua la discesa del tasso di disoccupazione.
A comunicarlo è l’Istat, che segnala un calo di 0.1% sufficiente per scendere al di sotto della soglia “psicologica” del 12%. La discesa si conferma così una tendenza già in atto da qualche mese.
I numeri sembrano dare ragione al governo e alle scelte condotte sino ad oggi, dalla decontribuzione al Jobs Act. Ne è convinto Matteo Renzi, che su twitter esulta: “Istat. In un anno più 325mila posti di lavoro. Effetto #JobsAct”. Ma è tutto oro quel che luccica?
Occupazione e disoccupazione stagionale
Se le percentuali di sintesi offrono una spalla all’esecutivo per rivendicare i risultati delle riforme, ad un’analisi più approfondita c’è decisamente meno da esultare. Perché è vero che la disoccupazione diminuisce, ma è anche vero che giugno, luglio e agosto sono i mesi estivi. Periodo nel quale si verifica un marcato aumento delle attività lavorative stagionali, connesse al turismo e ad alcune produzioni agricolo-industriali. E il turismo quest’anno ha segnato una crescita che contava, solo a fine agosto, oltre 3 milioni di presenze in più, con incrementi superiori al 20% sulle spiagge italiane.
Non è d’altronde un caso che a fare la parte del leone sui contratti di nuova attivazione siano stati non i contratti a tempo indeterminato (che sono poi l’obiettivo del Jobs Act) bensì i contratti a termine, sui quali il ministro Poletti ha allargato le maglie. Questi ultimi crescono nel mese del +1.9% e nel trimestre del +5.9%. “L’estate ‘gran turismo’ potrebbe spiegare la crescita dei rapporti di lavoro a termine”, ha ammesso il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi.
Disoccupazione giovanile
Altro tema è quello della disoccupazione giovanile, grande malato del sistema del lavoro italiano, anche a causa della riforma Fornero che, allungando proditoriamente i tempi per la pensione, ha trattenuto decine di migliaia di persone nei posti di lavoro impedendo un ricambio generazionale. Le cifre sono ancora impietose: la disoccupazione giovanile cresce di 0.3 punti toccando quota 40.7%.
Quanto si lavora?
In terzo luogo va osservato come, nonostante le indicazioni positive suggerite dai primi numeri, i riflessi sul lavoro effettivamente svolto siano in realtà molto bassi. Ad un aumento dell’occupazione non corrisponde infatti un parallelo aumento del numero di ore lavorate, che nel complesso si mantengono in progressiva diminuzione. Si lavora insomma, ma sempre meno. D’altronde, per l’Istat basta anche una sola ora lavorata (retribuita) nel mese per poter parlare di persona non più disoccupata.
La situazione del lavoro in Italia resta, così, fra l’incudine e il martello. I numeri grezzi danno senza dubbio indicazioni positive, ma scendendo in profondità si possono “apprezzare” meglio problematiche ancora irrisolte. Prima fra tutte la crescita che, ad oggi, si fonda su effetti esterni (calo del prezzo del petrolio in primis) e non certo su meriti interni.
In secondo luogo, la presenza delle attività stagionali che non sarà replicabile a partire dal mese di ottobre. Quando tutti i nodi verranno al pettine.
Filippo Burla