Piombino, 28 apr – “ La quota dell’UE nella produzione mondiale di acciaio si è dimezzata negli ultimi dieci anni; la Cina rappresenta oggi circa il 50% della produzione mondiale. La domanda di acciaio a livello mondiale è destinata ad aumentare nel lungo periodo. Pertanto, è nell’interesse dell’Unione europea mantenere la sua produzione interna. In più l’industria siderurgica dell’UE è un’importante fonte occupazionale, con 350 000 posti di lavoro diretti e altri diversi milioni nell’indotto, inclusa la filiera del riciclaggio. Si esortano pertanto la Commissione e gli Stati membri a sostenere lo sviluppo strategico dei principali settori utilizzatori di acciaio”. Così il Parlamento Europeo circa due mesi fa dettava una chiara linea guida per la promozione dell’acciaio europeo. Eppur ci voleva il Papa, Renzi e Grillo per ricordarci l’importanza del settore siderurgico. La vicenda di Piombino è paradigmatica. Ma possiamo citare anche Terni, Taranto.
Concentriamoci però, per onor di cronaca, più attentamente sulla vicenda che riguarda la cittadina toscana.
Piombino è il secondo polo siderurgico italiano. Grazie agli stabilimenti a ciclo integrale, l’acciaieria di Piombino riesce ad ottenere un’ampia gamma di ghise per la produzione dell’acciaio e di quelle speciali destinate alle fonderie. Eppure qualcuno ha deciso di spegnere l’altoforno. Da qui nasce la protesta degli operai, i presidi, gli appelli al Santo Padre. Ma meno male che alla vigilia della Liberazione è arrivato il premier Matteo Renzi che ha rassicurato le maestranze. Ma come ha fatto il giovane statista a risolvere un rebus così complesso? Si chiama “Disciplina degli interventi per la riqualificazione e la riconversione del polo industriale di Piombino”: è l’accordo di programma firmato a Roma dal presidente della Regione Toscana con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero della Difesa, il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, il Ministero dell’Ambiente, il Ministero del lavoro e politiche sociali. Grazie a questo accordo a Piombino tra il polo siderurgico e il porto arrivano 252 milioni. L’accodo sancisce l’impegno complessivo di tutti i soggetti a fare di Piombino un polo siderurgico fra i più competitivi ed ecologici d’Europa. Inoltre “é interesse dei soggetti sottoscrittori del presente accordo di programma, in un arco temporale definito e concordato, il recupero ambientale e la riqualificazione delle attività produttive, la reindustrializzazione e la salvaguardia dei livelli occupazionali, previo risanamento ambientale delle aree interessate”.
La notizia dell’accordo è arrivata il 24 aprile. Giusto in tempo per festeggiare la festa della Liberazione. Che bello! Rimangono alcuni interrogativi.
L’accordo ribadisce che: “Una delle potenziali direttrici di reindustrializzazione dell’area è costituita dal potenziamento delle attività portuali attraverso attività di smantellamento delle navi di manutenzione e refitting navale anche grazie ad un adeguato bacino di galleggiamento e/o carenaggio”. Quindi, la domanda sorge spontanea. Ma a Piombino si continuerà a produrre acciaio come chiede l’Europa oppure gli operai toscani faranno gli sfasciacarrozze? Questo non è dato saperlo. Aspettiamo le elezioni per capire meglio come andranno le cose. Intanto a proposito di Liberazione e di fascismo facciamo un bel salto indietro. Era il 1936. Gli investimenti a seguito della Crisi del ‘29 scarseggiano mentre le acciaierie a ciclo integrale perdono di centralità nella politica industriale dell’epoca. L’acciaieria di Piombino fu messa sotto il controllo pubblico dell’Istituto di Riconversione Industriale (IRI) attraverso la Finsider. La Finsider gestiva tutto il settore siderurgico italiano. Sotto la nuova gestione di Oscar Sinigaglia riprende l’interesse verso gli impianti a ciclo integrale e quello di Piombino attira importanti finanziamenti tesi a ristrutturarlo e ad ampliarne la capacità produttiva. Lo Stato non implorava le imprese ma prendeva in mano le aziende se ciò era necessario. Non c’era bisogno di richiami internazionali per capire che la siderurgia non poteva esser lasciata all’anarchia del Libero mercato. Forse gli operai livornesi hanno scelto il giorno sbagliato per scendere in piazza.
Salvatore Recupero
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